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Sigle clonate: Anna dai capelli rossi in salsa rasta

di Francesco Prisco

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7 gennaio 2010
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Quanto dista la Giamaica dal Giappone? A fare due conti, qualcosa come 12mila chilometri. Eppure queste due isole così diverse per clima e cultura possono risultare meno lontane di quello che sembra, soprattutto se si fa scalo… in Italia. Tranquilli, non è nostra intenzione prendervi in giro e ci siamo ormai ripresi dalle maratone alcoliche di Capodanno. Molto più semplicemente intendiamo qui svelare un arcano che lascerà a bocca aperta moltissimi di voi: nei primi anni Ottanta poteva succedere che le celeberrime sigle italiane dei fortunatissimi cartoni animati giapponesi qualche volta «somigliassero oltremodo» (e usiamo un eufemismo) a brani del songbook popolare giamaicano.
Eppure sui 45 giri che i bimbi del Bel Paese infilavano nei mangiadischi non c'era traccia alcuna dei nomi di quegli autori mistici, neri e capelluti che, al caldo dei Caraibi, avevano concepito quelle stesse melodie. Qualche esempio gioverà alla causa.
Il caso più noto è quello di «Anna dai capelli rossi», anime prodotto in quel di Tokyo nel 1979 (titolo originale «Akage no Anne») e ispirato al romanzo omonimo della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery. Un anno più tardi la Rai ne acquista i diritti e lo manda in onda, affidandone la sigla italiana al paroliere Luigi Albertelli ma soprattutto al leggendario maestro Vince Tempera che cura musica e arrangiamenti. Come impone il format, il testo anticipa ai piccoli spettatori mezza trama della serie, puntando sulle sventure della povera Anna («non ha una mamma, né un papà») e sui rari momenti ludici che le toccano in sorte («Che meraviglia sull'altalena che va leggera su è giù!»). La musica, però, risulta fatalmente uguale e spiccicata a quella di «Rivers of Babylon», pezzo di genere rock steady che nel 1970 era stato inciso in Giamaica dai Melodians (autori Brent Dowe e Trevor McNaughton) e otto anni più tardi aveva conosciuto il successo internazionale grazie alla cover di Boney M., prima nelle charts britanniche per cinque settimane. Il testo dell'originale rielabora il salmo biblico 137, sulla cattività babilonese del popolo eletto da Dio, perfettamente in linea con il credo Ras Tafari dei discendenti delle genti etiopiche deportate in Giamaica dai mercanti di schiavi.
In più di un'occasione pubblica qualche nerd appassionato di anime ha fatto notare la curiosa casualità al maestro Vince Tempera che ha sempre rispedito al mittente le accuse di plagio dichiarando di essersi ispirato, per la sigla di «Anna dai capelli rossi», niente meno che a «Bandiera rossa». In effetti una certa parentela melodica con l'inno dell'Internazionale comunista il suo brano ce l'ha, ma il debito nei confronti dei Melodians sembra molto più concreto. Mettiamola così: se Vince Tempera non è mai stato in Giamaica, sicuramente è passato per la Sardegna dove i Banda Beni eseguono una curiosa parodia di «Rivers of Babylon», ribattezzata «Rivers of Pabillon's» in omaggio all'omonima cittadina del Campidano.
Altro caso molto curioso. Nel 1981 alcune tv locali (la prima fu Telelazio) importarono dal Giappone un altro cartone, stavolta ispirato alle gesta cavalleresche del ciclo bretone. Titolo: «La spada di King Arthur» (in originale «Entaku no Kishi Monogatari Moero Āsā»). La sigla italiana segnò l'esordio di Riccardo Zara, autore e interprete che avrebbe a lungo segnato la storia del genere, insieme con la sua band a gestione familiare che, proprio dall'anime in questione, prese il nome de I cavalieri del Re. Il bello è che, a riascoltare oggi la sigla, viene in mente preciso preciso «(Ah) It Mek», pezzo ska inciso nel 1968 da Desmond Dekker, altra icona della musica giamaicana. Un brano usato, tra le altre cose, per la colonna sonora dello storico film «The harder they come» sulle violenze urbane nella Kingston degli anni Settanta piuttosto diverse dagli scontri cavallereschi di re Artù e sir Lancillotto che, nelle liriche di Riccardo Zara, diventava «furbo più di un gatto».
Che tra gli innumerevoli saccheggiamenti subiti dal popolo giamaicano nel corso della sua complicata storia si debba ora annoverare anche l'utilizzo, più o meno abusivo, di melodie popolari a vantaggio delle sigle italiane dei cartoni? Ai posteri l'ardua sentenza. Noi chiniam la fronte al Massimo Fattore (e «Fattone», a pensarci bene) Robert Nesta Marley che nella sua «Buffalo Soldier», quasi per ideale contrappasso, nel 1980 aveva già preso in prestito il ritornello dalla sigla del programma americano per ragazzi «Banana Split». Come dire: lottare per la sopravvivenza. «Fighting for survival».

7 gennaio 2010
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