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Dal Mandylion alla Veronica, i misteri delle «altre sindoni»

di Spartaco Lavagnini

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15 febbraio 2010
Dal Mandylion alla Veronica: storia e misteri delle «altre» sindoni. Un'icona raffigurante in Mandylion di Edessa
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«Beati coloro i quali crederanno pur non avendo visto». Inequivocabili le parole del Cristo (da Giovanni 20,29) che esortano i fedeli della neonata chiesa a una fede nuova, lontana dal culto di segni e presagi, slegata dalle superstizioni, in una parola matura. Eppure, vuoi per debolezza della carne, vuoi per un retaggio pagano del quale in Occidente non ci si è mai fino in fondo sbarazzati, i cristiani per secoli non hanno fatto altro che cercare «segni» che consentissero loro di «vedere» la Passione, provare il Mistero della salvezza, scommettere sul Regno dei cieli.

La Sindone di Torino è sicuramente il più noto di essi, ma non il solo se è vero che, soprattutto in età medievale, si sviluppò una vera e propria caccia agli oggetti che consentissero ai fedeli di «credere vedendo».

È il caso del cosiddetto Sudario di Oviedo, conservato nella cattedrale della città spagnola dal 718 dopo Cristo, dopo essere stato trasportato da Gerusalemme (era lì fino al 618) attraverso l'Africa settentrionale. Si tratta di un telo di 84 centimetri per 53 che, secondo la tradizione, fu posto sul capo del Cristo per pochi istanti dopo la deposizione dalla croce. Un tempo troppo breve perché potesse restarvi impresso il volto santo, com'è avvenuto nel caso della Sindone, ma comunque sufficiente a far sì che si impregnasse di sangue. Alcuni studi attestano che le tracce ematiche presenti sulla reliquia spagnola appartengono allo stesso gruppo sanguigno dell'immagine impressa sul panno torinese, altri ancora mettono in evidenza sul Sudario la presenza di pollini di piante che crescono in Palestina. Se una buona volta si riuscisse a provare che il reperto di Oviedo e quello di Torino hanno la stessa provenienza, cadrebbe definitivamente l'ipotesi della datazione medievale della Sindone, dal momento che il Sudario risulta evidentemente più antico dell'età di mezzo.

Anche il cristianesimo d'Oriente aveva la sua Sindone: si tratta del Mandylion, una tela «acheropita» (e cioè «non fatta da mano d'uomo») raffigurante il volto santo conservata inizialmente a Edessa di Mesopotamia, antica città le cui rovine sorgono oggi su territorio turco, e quindi trasportata a Costantinopoli dove sarebbe rimasta sino al saccheggio del 1204 per mano dei crociati. Dopo quella data se ne perdono le tracce. Problematico, d'altra parte, anche il discorso intorno alle origini. Secondo Esuebio di Cesarea, il Mandylion sarebbe stato inviato a re Abgar di Edessa, all'epoca molto malato, da Gesù in persona attraverso un emissario del sovrano giunto a chiedere il miracolo. Secondo lo scritto apocrifo «Atti di Taddeo», Abgar inviò un pittore in Giudea perché ritraesse l'ormai famoso Gesù ma questi, dopo essersi asciugato il sudore, affidò all'artista il panno di lino sul quale era rimasto impresso il suo volto. In Italia si conservano due versioni del Mandylion, una nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni a Genova l'altra alla cappella Matilda del Vaticano, ma in entrambi i casi si tratta di riproduzioni pittoriche. Per qualcuno, poi, il Mandylion è la sindone stessa.

Il volto santo per eccellenza è stato per secoli la cosiddetta Veronica, dal nome della donna che avrebbe asciugato il volto sanguinante di Gesù mentre saliva il Calvario (in realtà la parola Veronica deriverebbe, a seguito di una serie di mutazioni fonetiche, da «vera icona»). In età medievale, a quanto pare, la reliquia era conservata a Roma, tanto che ne fa persino menzione Dante nel trentunesimo canto del «Paradiso» (vv. 103-108). Dopo il Seicento se ne perdono le tracce, per quanto qualcuno sostenga che la reliquia sia quella oggi custodita nel Santuario del Volto Santo di Manoppello, in provincia di Pescara.

L'ultimo mistero legato al volto santo è quello della Sindone di Besançon, dal nome della cittadina francese che fino al Quattordicesimo secolo ospitò una reliquia dalle dimensioni più ridotte rispetto a quella torinese (1,2 metri per 2,6). Il reperto sarebbe giunto nella locale Cattedrale nel 1208 da Costantinopoli, secondo la tradizione che la identifica con il Mandylion. Nel 1349 scomparve al seguito di un incidente ma nel 1377 i canonici della chiesa madre annunciarono di averla ritrovata intatta in un armadio. Nel 1794, in pieno terrore rivoluzionario, se ne perse definitivamente ogni traccia, cosa che generò le più disparate interpretazioni dell'accaduto. Come quella secondo la quale la reliquia di Besançon e quella di Torino sono… la stessa Sindone. Al di là di tutto c'è da scommettere che certe dispute interpretative non troveranno mai fine. Almeno fino a quando gli uomini avranno bisogno di «vedere» per «credere».

15 febbraio 2010
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