In una mostra curata per il Whitney da Christiane Paul nel 2002, gli artisti invitati dovevano unire tre punti e muoverli. Un esercizio banale, che alcuni dei più interessanti autori dell'epoca interpretarono in maniera alquanto originale. Tra i lavori di CodeDoc, l'opera di Brad Paley, squisitamente autoreferenziale, mette in primo piano il codice in cui è scritta e legge se stessa, dipanandosi in modo tale da mostrare tre processi: quello della scrittura del codice, quello (presunto) della lettura e quello dell'esecuzione.
Sull'ambiguità tra ciò che si vede e il codice retrostante a uso della macchina (entrambi della stessa "materia") hanno giocato molti artisti. Per esempio rendendo "comprensibile" il codice e incomprensibile la sua esecuzione (così il duo Jodi, Dirk Paesmans e Joan Heemskerkin, uno dei loro lavori più celebri, per capire il quale bisogna visualizzare il codice sorgente).
Pare che questa attitudine a smontare e a portare in primo piano ciò che sta dietro alle cose stia progressivamente pervadendo la nostra relazione con il mondo, fisico e non: lo vediamo nel nostro rapporto con la rete (le rappresentazioni grafiche delle dinamiche dei social networks, per esempio), nel diffondersi delle infografiche (come nel progetto "24/7" di Benjamin Schulte dedicato agli oggetti quotidiani) o nell'idea di impronta ecologica.

c.somajni@ilsole24ore.com