È giusto mangiare gli animali? Questa domanda radicale nasconde in realtà una serie di altre domande — non solo etiche ma anche ambientali, sociali e persino narrative. Il nuovo libro di Safran Foer (l'autore di Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino) le considera tutte con ammirevole completezza e un apparato di note. Ma — e questa è la forza del libro — invece di scrivere un normale trattato, ci racconta una storia. La storia di un modo di nutrirsi irresponsabile, e la sua alternativa.
So cosa state pensando. Per i normali mangiatori di carne (come il sottoscritto), la retorica del vegetarianismo può suonare irritante. Tuttavia, benché Foer sia altrettanto radicale nelle sue conclusioni, ci arriva lungo le linee di argomenti razionali, introdotti con calma e con una mole impressionante di riferimenti.
Più che puntare il dito inquisitore contro gli irresponsabili, insomma, lo punta su tutto il processo di allevamento e macellazione: in luogo di evangelizzare, mostra.
Innanzitutto vengono smontate alcuni concetti tipici del sistema alimentare moderno. Qualche esempio: l'idea di "preda accessoria" nella pesca marina (in realtà parte costitutiva della tecnica contemporanea, e che nel caso dei gamberetti ammonta a circa l'89% del pescato). L'etichetta "allevato a terra" applicata a polli e uova (che, almeno in America, corrisponde alla necessità di un "accesso all'esterno" dei polli; accesso che però potrebbe essere una porta sempre chiusa su mezzo metro di terra). L'onnipresente tema del "cibo biologico" (che assicura un'impronta ecologica minore e maggior sicurezza in termini di salute; ma, come dice Foer, "puoi dire che il tuo tacchino è biologico e torturarlo tutti i giorni). E così via.
In seguito, Foer si lancia in un misto di reportage sul campo (con tanto di incursioni notturne in fattorie) e panoramica sullo stato dell'allevamento intensivo. I risultati sono agghiaccianti.
Prendiamo solo i polli da carne, quelli che arrivano diritti sulla nostra tavola. Vivono in uno spazio medio di 25x30 cm, stipati a migliaia in una stanza lurida; sono sottoposti a diete che li fanno ammalare in grande misura; quando sono pronti vengono ingabbiati, caricati su un camion e portati al macello: qui saranno paralizzati (più o meno) e viene loro tagliata la gola (se tutto va bene). Inoltre, in tutta la trafila le eccezioni sono all'ordine del giorno, e la violenza gratuita da parte dei lavoratori è diffusa (risparmio i dettagli).
Foer prende in considerazione anche forme più rare e illuminate di allevamento: quelle che trattano l'animale "alla vecchia maniera" — con rispetto e senza arrecargli dolore inutile. Ma il suo radicalismo lo porta a non giustificare nemmeno questo.
Bill, padrone di una fattoria modello, a un certo punto ammette di avere delle difficoltà quando si avvicina il momento della morte per una sua mucca: le risolve "facendo un respiro profondo", accettando in qualche modo la cosa. Foer? Non dà tregua: "Non reagire è una reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non facciamo. Nel caso della macellazione, alzare le braccia al cielo è come stringere le dita intorno al manico del coltello."
La verità è che per quanto ci sentiamo sicuri nelle nostre casette, noi non mangiamo mai da soli. Il nostro cibo fa sempre parte di una tavola globale — di un incessante processo di macellazione, morte, domanda, offerta — del quale siamo partecipi, anche se ignorarlo è molto più comodo. Ogni boccone di hamburger che mastichiamo corrisponde a una quantità precisa di dolore, e non solo.
Se l'argomento etico non fosse sufficiente, Foer ne propone un altro: l'enorme inquinamento che l'allevamento intensivo provoca (in particolare di maiali e bovini). Basta pensare che quasi un terzo delle terre emerse è dedicato al bestiame, e che questo produce una quantità spaventosa di escrementi. Il problema di smaltirli realmente è sempre aperto.
E allora? E allora la risposta è una sola: bisogna smettere di mangiare animali.
Foer chiude il suo libro immaginando una nuova forma di cena del Ringraziamento, senza il tradizionale tacchino americano: una cena cosciente, che dica davvero grazie a qualcosa — a un insegnamento ricevuto.
Invece della storia conciliante e falsa del tacchino felice, possiamo raccontarne un'altra che parla di coraggio e responsabilità. Come la storia che la nonna dell'autore racconta a inizio libro: anche nella fame più nera della seconda guerra mondiale, si rifiutò sempre di mangiare carne non kosher. Era ebrea, non poteva farlo.
"Ma neppure per salvarti la vita?", chiede Foer.
La risposta vale titolo e libro: "Se niente importa, non c'è niente da salvare".
Se niente importa
di Jonathan Safran Foer
Guanda, pagg. 363, 18 euro