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«Io, Hitler e la faida dei Wagner»

di Carla Moreni

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Domenica 28 Marzo 2010
In un fotomontaggio Gottfried H. Wagner da adulto, da bambino con la sorella Eva, e un ritratto del celebre bisnonno Richard

Mai avremmo immaginato di incontrare un Wagner, tanto mostruosamente simile a Wagner, su una banchina delle Ferrovie Nord. Siamo a Rescaldina, anni luce lontana dal Walhalla di Bayreuth, stazione intermedia tra Saronno e Malpensa, Lombardia silente e operosa. Lui è già lì che aspetta: alto, capelli bianchi, giacca sportiva, quando si toglie gli occhiali oscurati («ho appena avuto un'operazione di cataratta») è impossibile non sobbalzare: ma lui è Wagner. Identico. L'aura dei mille ritratti di Richard.

Lo stesso naso d'aquila, gli stessi occhi, lo stesso fiume emotivo di parole degli scritti, dei libretti del bisnonno. «Io sono Gottfried, con quelli non c'entro». «Scusi la macchina, è una vecchia Audi, non soffre per il cane vero? L'amore per il cane è l'unica cosa che ho ereditato da lui». «Vivo a Cerro Maggiore, da trent'anni, per amore della mia Teresina e con mio figlio Eugenio». «No, non so se andrò ai funerali, nessuno mi ha invitato. Saranno funerali di Stato, l'11 aprile, con tutta la Germania, Angela Merkel compresa, duemila persone. Ma nessuno ha chiamato me. Nessuna delle mie due sorelle, Eva e Katharina, le reggenti del Festival, ha alzato il telefono. Nemmeno per dirmi che mio padre era morto».

Domenica scorsa, primo giorno di primavera, anniversario del compleanno di Bach, è morto a Bayreuth Wolfgang Wagner. Era il nipote di Richard Wagner, aveva 90 anni e aveva tenuto lo scettro del Festival fino a due anni prima. Un regno di 57 anni, un record. Appena divulgata, con un lapidario comunicato ufficiale del Festival, la notizia ha fatto il giro del mondo: Berlino, Londra, Parigi, New York... e Cerro Maggiore. «Ma io lo sapevo, ho i miei informatori. E so anche che mio padre è morto poco dopo le due del mattino, non al pomeriggio, come da là hanno poi voluto farmi credere. Loro si sono negate, quando io chiamo mi passano le segretarie. Vogliono il mio nome cancellato: non lo hanno messo neanche nell'annuncio ufficiale. Come se non esistessi. Anche un quotidiano italiano, pubblicando l'albero della famiglia, nei giorni scorsi, ha tolto il mio nome».

Esiste Gottfried Wagner. Wagner IV. Figlio di Wolfgang (Wagner III), figlio di Siegfried (Wagner II), figlio di Richard (Wagner I). La discendenza sul ramo maschile è chiarissima. «A Bayreuth hanno sempre comandato i maschi, con l'interregno terribile delle mogli, prima Cosima, poi Winifred, mia nonna, con il suo influsso catastrofico». Siamo al piccolo tavolo in cucina, con la caffettiera messa sul fornello, ma che Wagner IV si dimentica di accendere, a dipanare gli intrecci di una famiglia, che molto più di altre reali, ha segnato la storia dell'Europa del Novecento. Perché Hitler amava Wagner. Hitler avrebbe voluto essere un artista. Su Wagner fece perno il mito della cultura nazista. Hitler era di casa a Bayreuth. A Wahnfried, la villa dove abitavano i Wagner, ora museo, c'era la stanza di Hitler. «Hitlerszimmer». E «Onkel Wolf», zio Wolf, come lo chiamavano i bambini di Siegfried e Winifred. Lui andava in camera dei due maschietti, Wieland e Wolfgang, rimasti orfani adolescenti del padre (Siegfried, morto nel 1930) e mostrava la pistola, gliela faceva provare. Mima con la mano la pistola Wagner IV, negli occhi passa un lampo. Il racconto si fa spezzato. Come se tutto già fosse noto. Come se non fosse più il caso di raccontarlo ancora. Sul tavolo c'è la copertina della nuova edizione del suo libro, che fece scandalo a Bayreuth: Wer nicht mit dem Wolf heult, in uscita il 26 aprile, per KiWi Paperback, 448 pagine, con un'appendice aggiornata sugli ultimi anni, dal 2002. «Gli anni di Katharina, al Festival».

Chi non ulula col lupo, perché tutti sapevano e tutti sanno. Quel libro, pubblicato per la prima volta nel 1997, tradotto in sei lingue (anche in italiano, Il Saggiatore, prefazione di Harvey Sachs) portò alla rottura tra Gottfried e il padre. «Da lì è calato il sipario. Più volte ho chiesto di incontrarlo, di parlare. Ma la condizione era che io ritrattassi. Non potevo. Io faccio di mestiere lo storico. E lo faccio per difendermi». Difendersi da un passato macigno. Sulla copertina del libro campeggia un faccione di Richard Wagner, corrucciato. A sinistra, una foto di Hitler, tra Winifred e il giovane Wieland. Appena dietro Wolfgang. Sotto la nidiata dei figli di Wieland (quattro) e Wolfgang (due, del primo matrimonio). «Ridevano. Mia nonna difese fino all'ultimo l'operato di Hitler. È morta nel 1980, e io sono cresciuto sentendo le sue frasi aberranti, la sua dedizione eterna al Führer. Scriveva gli inviti per il suo compleanno, il 20 aprile: U.S.A., Unser Seliger Adolf. E accanto: 88, cioè HH, Heil Hitler. Mio zio Wieland, il grande regista di Bayreuth, durante la guerra era stato messo a capo del campo di concentramento di Flossenbürg, non lontano da Bayreuth. Sapevano e tacevano». Ride Gottfried. «I documenti li avevano messi in una scatola da scarpe: Wieland-Flossenbürg, c'era scritto sopra. Li ha trovati per caso alcuni anni fa uno studente del liceo classico di Bayreuth».

  CONTINUA ...»

Domenica 28 Marzo 2010
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