
Nello spogliatoio juventino di fine Anni 70 Roberto Bettega aveva una caratteristica
tutta personale: si faceva i cavoli propri. «Non faceva nulla
per rendersi simpatico», è la frase che sibila un compagno
d'allora. Poi finiscono tutti di giocare, ognuno imbocca la
sua strada. Ma quando, 27 gennaio '94, la società fa la
rivoluzione e il timone passa da Giovanni a Umberto, Giampiero
Boniperti passa le consegne proprio a lui, Roberto Bettega. Quando un ex campione arriva in un ruolo di
responsabilità (Roberto era vicepresidente esecutivo,
all'epoca), normalmente si avvale dell'apporto di
gente che, con lui, aveva diviso il sudore e l'olio
canforato degli spogliatoi. Invece, niente.2006, arriva
Marco Tardelli nel cda bianconero, Bettega è in una posizione
difficile. Toccato (in quanto parte della Triade) ma non
sporcato dal ciclone che fa fuori Giraudo e Moggi, continua a
frequentare la sede con l'incarico di «consulente» di
Blanc. Si occupa di mercato, affiancando Alessio Secco. Tardelli
si sente tagliato fuori da quelle che sono le sue specifiche
competenze: lui è uomo di sport, di campo. Ha allenato, ha
vinto. Si sente in grado di dare un contributo di sostanza, non
solo di nome e di forma. Nessuno lo ascolta, però. Fino a che
Marco non prende carta e penna e consegna a Blanc e a Cobolli le
dimissioni. Siamo alla scorsa settimana e la dirigenza
bianconera sta affrontando la spinosissima questione Deschamps.
Gli chiedono di pazientare e Tardelli lo fa. La scelta paga.
Mercoledì, durante il cda straordinario, vince la sua battaglia.
Straccia la lettera, resta: «Posso dire di essere ancora nel cda
della Juve», dice. Lette in un'altra maniera sono parole che annunciano una
notizia diversa: a fine contratto, 30 giugno prossimo, il
rapporto di consulenza con Bettega non verrà rinnovato. La
rivincita si gusta freddissima.Fonte: Gazzetta dello Sport