A settembre ha avviato il suo sesto stabilimento all'estero: si trova a Johor Baru, in Malaysia, e assembla Suv destinati al grande mercato dell'Asia Pacifico. Il portabandiera della temuta invasione dell'auto "made in China" per il momento è un'azienda relativamente piccola e poco conosciuta, la Chery Automobile, che, con 80mila unità vendute all'estero nella prima metà di quest'anno, copre quasi un terzo dell'intero export automobilistico cinese. L'azienda, che da tempo è in trattative con Fiat per un'eventuale joint venture all'ombra della Grande Muraglia, oggi produce anche in Iran, Egitto, Ucraina, Indonesia, Uruguay, tutte fabbriche in joint venture con partner locali, soprattutto rivenditori di auto.
Sono altrettante piattaforme produttive che consentiranno di espandersi anche sui mercati contigui: Paesi del Golfo a partire da Egitto e Iran, Mercosur e Brasile dall'Uruguay. Con un occhio al mercato Ue, Chery sta avviando un nuovo stabilimento in Turchia. Ed è alla ricerca di un partner per fare altrettanto in Russia, dove già vende 40mila macchine all'anno. L'intraprendente costruttore non ha sempre avuto la vita facile, inizialmente osteggiato dal Governo che puntava a concentrare l'industria dell'auto attorno a pochi grandi gruppi nazionali (Shanghai Automotive, Dongfeng, First Auto Works) con un numero limitato di poli produttivi.
La provincia dell'Anhui, prevalentemente agricola, per non parlare della città di Wuhi dov'è localizzata la Chery, non rientrava in questi programmi. La svolta è avvenuta quando Pechino si è accorta dei vantaggi derivanti dalla scelta di non legarsi ad accordi di joint venture con altri costruttori europei, americani o giapponesi. Un'autonomia che ha consentito all'azienda un miglior controllo dei costi e soprattutto le ha lasciato le mani libere per operare anche su altri mercati. In realtà, almeno agli inizi, telai, meccanica, motori e carrozzerie erano un po' copiati: la prima vettura prodotta era derivata dalla Seat Toledo motorizzata con una vecchia famiglia di propulsori Ford prodotti in un obsoleto impianto sudamericano acquistato d'occasione.
Il modello attualmente più venduto, la piccola Qq, assomiglia come una goccia d'acqua alla Matiz Daewoo (ora Chevrolet) con cui Chery aveva cercato di accordarsi prima che il controllo della società coreana fosse acquisito da General Motors. Le cose però stanno cambiando. Per la nuova generazione di motori la società si è rivolta all'austriaca Avl che ha progettato per Chery una famiglia (Acteco) a 4 e 8 cilindri, compatibili con le norme euro IV. Mentre il design è stato affidato a stilisti esterni, incluso Pininfarina. Grande attenzione è posta anche alla gestione della fabbrica e degli altri reparti dove sono stati introdotti programmi di miglioramento continuo come il Sei Sigma giapponese. L'obiettivo è di affermarsi come un produttore low cost ma affidabile: sui modelli di fascia alta vengono offerte garanzie fino a tre anni. Chery, infatti, punta in alto, ed entro il 2010 vuole riuscire a entrare direttamente anche sui mercati europeo e Usa, superando tutti gli esami di omologazione: resistenza agli impatti, livelli di emissione e via dicendo.