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Alessandria, uno snodo a vocazione internazionale

di Paolo Bricco

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Alessandria, Piazzetta della Lega lombarda (Foto Ermes Beltrami / Emblema)

Ad Alessandria la monumentale fisicità di Fabrizio Palenzona, banchiere di estrazione politica abituato a gettare tutto il suo peso sull'universo Unicredit, la scorgi spesso accostata ai tavoli dei "Due Buoi Rossi" e della "Fermata". Invece i Buzzi del cemento, una delle famiglie più liquide e riservate del capitalismo familiare italiano, non vanno mai da nessuna parte. La centralità nel sistema italiano dei Cerutti, specialisti in macchine per la stampa (Giancarlo è presidente dell'Editrice Il Sole 24 Ore), la constati scorrendo i nomi che hanno composto negli ultimi sette anni i consigli di Mediobanca. Mentre la capacità di muoversi nei punti d'incrocio fra concessioni e logistica del signore delle tariffe, Marcellino Gavio, tutti la sperimentano ogni volta che pagano il pedaggio su mezza rete autostradale italiana, a partire dai caselli della vicina Torino-Piacenza.

Cammini nel centro storico di Alessandria e ti muovi in macchina fra Tortona e Casale Monferrato, Rivalta Scrivia e Valenza Po, e non puoi non pensare che qui, nella pancia della provincia italiana dove c'è la casa di Fausto Coppi e dove ha iniziato a giocare a calcio Gianni Rivera, si è coagulata una concentrazione di potere tutt'altro che irrilevante. Un potere non costruito sul vassallaggio nei confronti di Torino e di Milano o sull'intermediazione politica più deteriore, ma in qualche modo espressione di un'economia diffusa pienamente inserita, anche da un luogo piccolo e apparentemente marginale come Alessandria, nelle correnti del mutamento italiano, ben visibili o nascostamente carsiche.

La multispecializzazione di questo territorio, che rende l'Alessandrino capace di assorbire e di mediare i più diversi andamenti del ciclo economico e dei singoli comparti, ha una base manifatturiera che esprime un'impresa su quattro, vale circa un terzo del Pil provinciale e occupa il 40% degli addetti.
A colpire è prima di tutto una specie di patto fra generazioni che rende il tessuto imprenditoriale di questo pezzo di Nord insieme maturo e giovane, tradizionale e innovativo. Se non sono moltissime le imprese di nuova fondazione, infatti, quelle di seconda e terza generazione sembrano contraddistinte da una spinta modernizzatrice. Nel polo dell'oro di Valenza Po, che segnato dalla crisi post-11 settembre è comunque riuscito nel 2007 ad aumentare del 30% il suo export portandolo a 650 milioni di euro, funziona bene la formula di Damiani, che sta sviluppando su scala internazionale una politica di marchio perseguita fin dagli anni Settanta, in controtendenza rispetto al resto del distretto. «Sotto il profilo della strategia - spiega il vicepresidente Giorgio Damiani - siamo stati dei precursori. E adesso stiamo accelerando».

Il tessuto mosso e articolato dell'Alessandrino si fonda su un reticolo di medie imprese, attive in comparti tradizionali ma con una buona capacità di scrivere nuovi capitoli rispetto al core business. La spinta alla diversificazione, per esempio, è una caratteristica della Mossi & Ghisolfi. Il gruppo di Tortona, che ha un fatturato consolidato di 2,3 miliardi di euro con un Ebitda compreso in questo settore fra l'8 e il 10% dei ricavi, è il principale produttore al mondo di Pet, il polietilene tereftalato usato per gli imballaggi. All'attività tradizionale è stato affiancato un investimento sui biocarburanti, in particolare con l'etanolo di seconda generazione. Perno di questa iniziativa è la società americana Chemtex, acquisita nel 2004. Su questo nuovo carburante l'investimento è di 120 milioni di euro in cinque anni. Trenta sono già stati spesi. «Sui suoi sviluppi - afferma il vicepresidente Guido Ghisolfi - nel rapporto con l'università americana di Berkeley un gigante come British Petroleum spende ogni anno una cifra di poco superiore». I carburanti high-tech, in questa vicenda, fanno il paio con la terra, prima risorsa di una provincia storicamente agricola: il proposito è convincere i contadini a piantare, in vista del raccolto del 2012, sorgo fibroso e canna comune sui campi oggi messi a mais e a erba medica. Dunque, la storia della Mossi & Ghisolfi appartiene a pieno titolo a quel nostro capitalismo di provincia nascosto, ultrainternazionalizzato, che per la natura a metà fra il campestre e il cosmopolita è poco conosciuto, ma che rappresenta uno degli elementi trainanti del sistema italiano. Fabbriche e mercati di sbocco negli Stati Uniti, in Messico, in Brasile, in India e in Cina. Funzioni più sofisticate nel nostro Paese. Su 2.700 addetti, 400 sono in Italia: 140 nell'Alessandrino. A Milanofiori ci sono la finanza, la strategia, l'ufficio legale e l'informatica. Ad Alessandria, dove tutto è iniziato nel 1953, restano la proprietà, l'ingegneria e la ricerca.

In questa continua dialettica fra dimensione locale e mercati internazionali, in una Alessandria che può essere vicina a Shanghai o a Francoforte come a Torino o a Milano, influisce la collocazione geografica. «La grande scommessa - asserisce Roberto Arghenini, amministratore delegato dell'Interporto - è potenziare ulteriormente la nostra natura di snodo, sfruttando le opportunità collegate alla funzione di retroporto di Genova». Una scommessa da 120 milioni di euro. In un contesto tanto complesso, contano non poco la qualità intellettuale e la preparazione scientifica dei giovani. E, così, aziende e fondazioni ex bancarie, enti pubblici, Politecnico e Università, hanno fondato Proplast, il centro di cultura per le materie plastiche, a cui è collegato un corso di laurea. «Proplast - afferma nel suo ufficio, a Spinetta Marengo, Marco Giovannini, presidente e amministratore delegato di Guala Closures - si inserisce in un contesto molto particolare. Questa è un'enclave di sviluppo, tecnico e scientifico, paragonabile a Lione».

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