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Prato, una città che cambia

ANALISI / La lezione del «capitalismo meticcio»

di Aldo Bonomi

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16 giugno 2008

Capita, a volte, di incontrare qualche membro di una delegazione ufficiale cinese interessato al nostro modello dei distretti e di sentirsi chiedere: «Ma quando e come avete creato Prato?», presupponendo che si tratti di creazione di vertice, come le mega piattaforme produttive pianificate negli ultimi anni sul suolo cinese. Quando gli rispondi che occorre risalire alle lunghe derive della storia per comprendere come si è passati dai mercanti pratesi dell'età dei Comuni, degli "accaparratori di grano" e della mezzadria di cui non si ha traccia nella civiltà del riso per capire come si sono formate queste comunità operose rimangono alquanto disorientati. Ripartire dalle lunghe derive storiche in rapporto al distretto di Prato mi pare particolarmente significativo, dal momento che, per tradizione, è questo uno dei laboratori della frontiera evolutiva del nostro modello di capitalismo di territorio. Sia nelle fasi espansive, sia in quelle recessive e di ristrutturazione, Prato ha spesso anticipato quanto poi accade anche in altre realtà produttive consimili. Ricordo che una delle prime volte che ho sentito parlare dei rischi connessi alla globalizzazione non fu ai social forum, ma nelle sedi degli artigiani e degli industriali pratesi.
Lo storico distretto tessile pare abbia intrapreso, pur dopo non poche tribolazioni, la via della modernizzazione. Lo spirito imprenditoriale si è incarnato in una nuova generazione di giovani imprenditori capaci di coniugare i saperi contestuali di territorio e quelli codificati nei testi di management della Bocconi o della London school. Hanno posizionato l'impresa a valle del processo produttivo, dando corpo alla discontinuità "dal tessile alla moda", hanno progressivamente investito nelle funzioni aziendali terziarie di pregio, hanno diversificato nell'agricoltura di qualità, hanno imparato ad andare nel mondo, dopo che il mondo era venuto a casa loro con i cinesi nei sottoscala.
Questa fondamentale componente endogena sembra avere scavallato i processi di ristrutturazione che hanno investito pesantemente i distretti industriali nell'ultimo ventennio, anche per i crescenti investimenti compiuti in quei beni competitivi territoriali (logistica, università, servizi per l'export, servizi di pubblica utilità) oggi imprescindibili per far funzionare quelle fabbriche a cielo aperto che io chiamo piattaforme produttive. Insieme alla vicinanza a Firenze, che sempre più va configurandosi come città-regione dove si "vestono" le merci prodotte nella piattaforma della valle dell'Arno. Certo, anche qui, come nelle altre aree a forte industrializzazione, c'è il problema di evitare la proliferazione di fiere di piccolo cabotaggio, aeroporti insostenibili, tutte funzioni che, appunto, se non pensate in una logica di piattaforma di area vasta non hanno granché senso.
Resta, come segnalato dal sindaco Romagnoli, il non piccolo problema dell'integrazione della vasta comunità cinese, che non si configura, come in altri territori, come semplice serbatoio di manodopera a basso costo, ma anche come portatrice di una cultura d'impresa che, per quanto resistente ai sistemi regolativi dei mercati maturi, necessita di essere integrata nella dimensione della piattaforma. Ecco allora profilarsi un nuovo carattere ipermoderno del laboratorio pratese, nel quale convivono, competono e si contaminano sullo stesso territorio made in Italy e made in China.
Le cinque discontinuità (dal tessile alla moda, dal distretto alla piattaforma, dalle reti corte alle reti lunghe, l'impatto dei flussi migratori e l'essere frontiera della dinamica flussi/luoghi) rappresentano un complesso di dinamiche sociali ed economiche da "far tremare le vene e i polsi". Esse presuppongono una capacità di governo di questo capitalismo meticcio (nelle forme e nei soggetti) allargata oltre la sfera istituzionale di quelle che sono le responsabilità collettive per assicurare prosperità e coesione sociale. Un compito in più per l'imprenditore pratese cosmopolita nel mondo, cosmopolita a casa propria. Ancora una volta, Prato come piccola metafora del mondo che verrà.

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