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Prato, videoreportage

Prato, una città che cambia

Si cerca un filo per ricucire il doppio distretto

di Cesare Peruzzi

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Sette anni di crisi non hanno prosciugato la vena industriale di Prato. Nè mutato la vocazione tessile del distretto più grande d'Italia. Il cambiamento però c'è stato, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Nel 2001, quando iniziarono a manifestarsi le prime difficoltà di mercato (accentuate in maniera drammatica dopo l'11 settembre e ancora di più con l'eliminazione dei dazi per il settore tessile-abbigliamento, nel 2002), il polo pratese contava 6.180 aziende nel comparto tessile e 1.900 in quello dell'abbigliamento: a fine 2007 erano rispettivamente 4.200 e 3.100. Una mutazione genetica non di poco conto.
Per la verità, la forbice tra i due comparti aveva iniziato a chiudersi fin dal 1991, con l'arrivo a Prato dei primi cinesi, esclusivamente concentrati nelle confezioni, cioè nella parte più a valle della filiera, ma senza punti di contatto con il distretto italiano, da cui neppure acquistano i tessuti. Negli ultimi sette anni questo trend ha registrato un'accelerazione. Tanto che nel 2009 è previsto che la forbice si chiuda del tutto.
Sempre nel periodo 2001-2007, il distretto è passato da poco più di 6 a 4,8 miliardi di fatturato, l'incidenza dell'export è scesa da quasi il 60% al 50%, gli addetti sono calati da 40mila a 30mila. La disoccupazione, però, è rimasta sostanzialmente stabile, 6% circa (un punto in più della media regionale toscana), su livelli fisiologici per un'area a forte utilizzo di manodopera, che vanta uno dei tassi di occupazione più elevati del Paese (64%). Merito degli ammortizzatori sociali e della crescita del terziario.
«Non solo tessile, non senza tessile - sintetizza il presidente dell'Unione industriale pratese, Riccardo Marini -. In questi anni difficili si sono affermate aziende nuove e settori che un tempo avevano un peso minore, come la logistica, ma il cuore dell'economia resta il manifatturiero e in particolare la produzione tessile, sempre più legata alla componente moda e all'innovazione tecnologica».

Un pilastro del made in Italy
Prato, insomma, non abdica al proprio ruolo. E, come sottolinea l'economista Marco Fortis, «resta un pilastro del made in Italy. Se anche nei prossimi 10-12 anni il settore tessile dell'area dovesse perdere altri 5mila addetti - sostiene Fortis - questo sarebbe comunque di gran lunga il più importante distretto industriale italiano». Con una densità imprenditoriale seconda solo a Milano (6,74 ogni cento abitanti) e un valore aggiunto pro capite superiore di quasi 2mila euro a quello di altre province tessili, come Biella e Como.
Forza produttiva e vitalità sociale. Lo sviluppo demografico di Prato è stato pari a quello economico, fino ai 186mila abitanti di oggi (+130% dal secondo Dopoguerra), con un'incidenza molto elevata della componente immigrati che, secondo le stime della Questura, superano le 18mila presenze. «In questa città aumentano i giovani e aumentano gli anziani», commenta il sindaco Marco Romagnoli (Pd), in grado di esibire un bilancio comunale in attivo per quasi 4 milioni.
Romagnoli indica come priorità il rilancio dell'economia e l'integrazione della comunità cinese. «Il fenomeno dell'immigrazione non è stato gestito a suo tempo - dice il sindaco - e oggi lo si può affrontare solo attraverso la lotta per la legalità, unico veicolo per integrare gli immigrati e difendere i più deboli».

Il nodo cinese
Nel futuro di Prato, il rapporto con la comunità cinese è uno dei nodi da sciogliere, probabilmente il più complesso e difficile. Sul tema uscirà nei prossimi giorni un libro scritto da Silvia Pieraccini («L'assedio dei cinesi», Il Sole 24 Ore editore), in cui per la prima volta viene analizzato il fenomeno che ha assunto i contorni di vero e proprio distretto parallelo a quello tradizionale. Un polo produttivo con numeri impressionanti, ricostruiti nel libro attraverso confronti di dati e testimonianze: 3.500 imprese (la più alta concentrazione in Italia e una delle maggiori d'Europa), 2.700 di queste concentrate nel comparto dell'abbigliamento, 17mila addetti, 1,8 miliardi di giro d'affari (di cui un miliardo sommerso). E una produzione che ormai supera il milione di capi al giorno, per il 70% destinati al mercato internazionale.
Lo sviluppo della comunità cinese e la sua crescente forza e ricchezza (anche esibita) cominciano a creare malumore e qualche tensione. Le difficoltà del distretto tessile (italiano), che paga le tasse e rispetta le regole, mal si coniugano con la libertà d'azione del distretto cinese dell'abbigliamento e del "pronto moda", al cui interno si lavora e si opera in un regime di sostanziale assenza di normative. «La sfida dei prossimi anni è riuscire a integrare quel mondo - commenta Manuele Marigolli, segretario della Camera del lavoro -. Per dare continuità al manifatturiero non ci sono alternative».
«La nostra è una situazione più simile alla Londra degli anni 70 che non alla Parigi delle banlieue», sottolinea Marini, interpretando quella visione texana della vita che in qualche modo avvicina gli abitanti di Prato più ai milanesi che ai fiorentini. «Dobbiamo portare nella legalità il distretto parallelo e diventare un laboratorio per studiare i flussi migratori, perché qui insieme ai cinesi abbiamo più di cento etnie presenti - continua il leader degli industriali -. La nostra città potrà essere un esempio in Europa, se saprà governare questo fenomeno».
  CONTINUA ...»

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