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Prato, una città che cambia

GLI IMPRENDITORI /
La prima rivoluzione delle giovani leve: fare gioco di squadra

di Silvia Pieraccini

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16 Giugno 2008

Non sono teneri con i coetanei 30-40enni che hanno scarsa voglia di intraprendere e di rimboccarsi le maniche. Ma neppure con i padri 60-70enni che stentano a delegare e a lasciare la guida delle proprie aziende alle nuove generazioni. «Il ricambio è difficile, ma indispensabile per adeguare le strategie aziendali e accelerare sulla strada delle aggregazioni», dicono i giovani imprenditori di Prato. Convinti che, per uscire dalle secche in cui si è arenata l'economia cittadina, sia necessario recuperare lo spirito imprenditoriale che ha fatto grande il distretto tessile, in una chiave nuova.
«Finora siamo stati talmente individualisti da non aver saputo cogliere le opportunità di collaborazione tra aziende», osserva Raffaella Pinori, 39 anni, consigliere delegato dell'azienda di famiglia Pinori Filati, otto milioni di fatturato per il 50% dall'export, cui si affianca un'azienda agricola che produce vino Docg Carmignano e sta progettando una struttura turistica.
«Uno dei compiti della nostra generazione sarà proprio quello di cambiare la mentalità aziendale, per far sì che le aggregazioni si realizzino in modo più naturale», aggiunge Vincenzo Cangioli, 43 anni, presidente del Lanificio Cangioli 1859, laurea in direzione aziendale alla Syracuse University, quinta generazione del gruppo tessile di famiglia che fattura 32 milioni per il 75% dall'export.
«Le aziende pratesi devono decidersi a fare squadra per non indebolirsi e risultare facilmente attaccabili dai concorrenti», sottolinea Cristiano Papi, 39 anni, socio del gruppo Computer House, attivo nello sviluppo di software gestionali per aziende tessili e dell'abbigliamento, nove milioni di fatturato.
La sfida della dimensione aziendale è quella che sta più a cuore ai giovani imprenditori della città, assieme al tema dell'innovazione. «I finanziamenti diretti all'innovazione servono a poco se all'interno dell'azienda non ci sono interlocutori giovani in grado di recepire i nuovi stimoli», sottolinea Andrea Cavicchi, 42 anni, presidente della Furpile Idea (tessuti speciali), tassello del gruppo tessile di famiglia che fattura più di 35 milioni per il 60% dovuti all'export, oltre che presidente del Museo del tessuto di Prato. «Credo fortemente nel contributo che l'innovazione può dare allo sviluppo aziendale - aggiunge Cavicchi -, ma il problema è che i giovani che escono dall'università non ambiscono a lavorare nel tessile».
Le difficoltà attraversate dal distretto negli ultimi anni non hanno certo aumentato l'appeal di un settore che resta il pilastro dell'economia cittadina. E ora moltiplicano i timori di giovani imprenditori come Federico Gualtieri, 28 anni, laurea in Economia aziendale, vicepresidente dell'azienda di famiglia Filpucci Filati, 28 milioni di fatturato per il 60% grazie all'export, e "appendici" produttive in Romania (13 milioni di fatturato) e Cina (10 milioni di dollari): «Ormai non credo più che la crisi del tessile sia passeggera - spiega Gualtieri - e questo clima pesante si riflette anche sulle risorse umane: nelle aziende non c'è più tempo per far crescere le persone, soprattutto i giovani».
Giovani che, secondo Lorenzo Guazzini, a capo del Gruppo giovani imprenditori dell'Unione industriale pratese, devono però recuperare dinamismo e voglia di "volare" più alto. «Conoscere l'inglese ed essere disponibili a viaggiare sono ormai requisiti fondamentali, che però non tutti hanno», dice Guazzini.
«La verità è che i giovani non hanno più la "fame" che avevano i nostri padri, anche se, naturalmente, in questa situazione di mercato hanno un alibi», spiega Gaia Gualtieri, 29 anni, laurea in Marketing al Polimoda e, dopo le esperienze in Gap e Gucci, impegnata nel Gruppo Colle (tintoria industriale, 18 milioni di fatturato), nato nel 2004 dalla fusione di tre aziende tra cui quella del padre Roberto. «Il tessile si fa o per bisogno o per passione: e io la passione ce l'ho», aggiunge Gaia.
Se il tessile non attrae più come una volta, è vero che il distretto resta un supporto prezioso anche per chi decide di imboccare strade alternative. Come lo stesso Lorenzo Guazzini, 29 anni, a capo dell'azienda di famiglia Gruppo Sartoriale (marchio Montezemolo), che produce abbigliamento uomo (18 milioni di fatturato per il 45% dall'export): «Fare tessile e abbigliamento sono due mestieri diversi - spiega -, ma certo per noi stare a Prato è un vantaggio, soprattutto per la vicinanza con le aziende tessili con cui sviluppiamo i tessuti per i nostri capi». Proprio grazie alla collaborazione con un lanificio pratese il Gruppo Sartoriale si è aggiudicato una commessa da 700mila euro per le 1.600 uniformi da parata che i rappresentanti di Russia e Ucraina indosseranno nelle sfilate di apertura e chiusura delle Olimpiadi di Pechino.
Ma essere "immerso" nel distretto tessile è un plus anche per Massimo Pugi, 32 anni, laurea in Scienze della comunicazione e master alla London school of economics, che ha realizzato il sogno di fare un'impresa branded, dal marchio riconosciuto, fondando Borgo de' Medici, azienda di specialità alimentari toscane, che oggi fattura 1,5 milioni, la metà grazie alle esportazioni. «Dal punto di vista dell'intraprendere essere localizzati a Prato assicura vantaggi, primo fra tutti i servizi avanzati all'export - ammette Massimo -, anche se, di contro, crea problemi nel trovare manodopera specializzata che non sia di tipo tessile». L'altro problema con cui i giovani imprenditori devono fare i conti nell'apertura ex novo di un'azienda è quello dell'accesso al credito: «Se non avessi avuto la mia famiglia - chiosa Massimo - nessuno mi avrebbe finanziato».

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