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I clienti premiano l'export di nicchia

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30 dicembre 2009

Nei mercati globali si può vincere anche senza colossi multinazionali. A patto che si possegga un tessuto di medie aziende in grado di essere leader di nicchia. È, appunto, il caso dell'Italia che vanta a livello internazionale la leadership nell'export di oltre mille prodotti, dalle valvole alle piastrelle, dalle macchine per imballaggio ai mobili, come ha messo in evidenza l'economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, elaborando le statistiche disaggregate dell'Onu (si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
A fianco raccontiamo invece le storie di alcuni protagonisti industriali del made in Italy che danno nome, cognome e localizzazione territoriale di alcuni leader di nicchia di quell'Italia molecolare che sa farsi rispettare sui mercati internazionali.
All'estero godiamo di cattiva fama. Il guru Jim O' Neill di Goldman Sachs spiegò qualche anno fa a Davos che all'Italia erano rimasti solo «cibo e calcio» (salvo poi pentirsi). «The Economist», tra le altre cose, ci aveva immortalati con la celeberrima copertina dell'Italia sorretta dalle stampelle e il titolo: «La vera malata d'Europa». Siamo quasi sempre bistrattati anche dalle principali classifiche internazionali che, spesso, non sono dei veri indici competitivi ma tendono a fotografare il livello di attrattività del paese. Ma adesso arriva il «medagliere internazionale» compilato da Fortis a dare speranza al made in Italy, a restituirci un po' di smalto e la conferma della nostra forza sui mercati esteri, in parecchi settori, a cominciare dalla meccanica strumentale.

Ci possiamo così togliere qualche soddisfazione dopo tanti anni di «declinismo». Nel senso che questo medagliere assegna all'Italia un posto di primissimo piano nello scenario competitivo mondiale, collocandoci dopo la Germania. Tutto bene, dunque? Tra gli addetti ai lavori qualche perplessità rimane. Per Fabrizio Onida, ordinario di Economia internazionale alla Bocconi, il «ritorno della fiducia segnalato dall'Isae farà difficoltà a trasformarsi in effettiva crescita del Prodotto interno lordo dove abbiamo perso almeno cinque punti percentuali». Anche perché, al di là della fiducia, ci sono alcuni elementi che contribuiscono «a stemperarla».
Tra questi c'è l'elemento occupazionale che presenta qualche preoccupazione: «Prima o poi – osserva Onida – la cassa integrazione finirà e allora potrebbe affacciarsi lo spettro dei licenziamenti, anche perché il livello di utilizzo degli impianti è ancora insufficiente». Insomma, per Onida sarebbe forse meglio mettere ad esempio in campo strategie di aggregazione che consentano di aumentare la dimensione media delle nostre imprese, in maniera da incrementare la nostra «vocazione sistemistica che è ancora bassa, mentre siamo invece fornitori dei big mondiali come produttori specializzati o componentisti».
(F.V.)

30 dicembre 2009
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