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Da Caravaggio per accendere la tv degli altri

di Marco Alfieri

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25 novembre 2009
La soddisfazione degli installatori per aver ripristinato il primo trasmettitore televisivo dopo il conflitto (tecnologia Abe, potenza: 5KW).

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Oggi Valentin ha due figli grandi (27 e 23 anni) e continua a tornare in Alto Adige a sciare. Per il resto, si divide tra casa, azienda e aeroporti. Uno sguardo cosmopolita che gli fa investire su R&S il 20% del proprio fatturato, impiegando nella divisione progettazione 7-8 ingegneri (altri 8 periti si occupano della produzione/collaudo), e gli ha fatto firmare un co-branding con Alcatel, a cui Abe fornisce la tecnologia per vedere la tv sui videofonini. «Adesso - spiega - stiamo lavorando sui codificatori Mpeg 4 (oggi le trasmissioni tv vanno con Mpeg 2). Contiamo di uscire sul mercato a febbraio». Ma sotto il capannone bianco e verde di Caravaggio quest'anno non si è fatta nemmeno un'ora di cassa, i conti correnti sono in attivo, e c'è una camera anecoica per fare i test elettromagnetici sulle radiofrequenze. Abe è una delle pochissime aziende ad averla. Valentin ci ha investito un milione di euro per restare sempre un passo avanti. Il nostro segreto? «Passione, un po' di fantasia e qualche regola di buon senso», si schermisce timido. Uno. «Si deve ricorrere al credito solo in fase di start up o per finanziare grandi investimenti». In tempi di business regolare «le aziende devono lavorare con mezzi propri ed essere ben patrimonializzate, solo così hai fiato nelle crisi».

Invece, secondo Prometeia, le aziende famigliari italiane che hanno fino a 2,5 milioni di fatturato dispongono di una capitalizzazione inferiore del 30% rispetto ai competitor europei e internazionali. Idem da 2,5 a 10 milioni di ricavi. Quelle da 10 a 50 milioni sono sotto del 20% e quelle da 50 a 150 milioni del 18. Non basta. Secondo le ultime Considerazioni finali di Mario Draghi, su 65mila imprese che si sono ristrutturate, soltanto 5mila hanno completato un decisivo risanamento finanziario. Come dire vitali ed elastiche, ma ancora troppo minute e sottocapitalizzate. Due. «La forbice tra break even point e capacità produttiva dev'essere ampia, altrimenti se arriva un po' di flessione sei fritto». Terza regola aurea, per Valentin: «Mai avere un singolo cliente che vale più del 20% dei ricavi». Infine innovazione tecnologica continua. «Questo vale non solo nel mio settore, ma anche nel made in Italy tradizionale». Ad esempio con l'altra sua società, che fa meccanica di precisione, chiuderà in utile anche il 2009. «Facciamo dalle viti ai bulloni, dagli scavetti in alluminio ai filtri. Lavoriamo un 20% per noi e un 80% per altri clienti».

Roberto Valentin, 53 anni, titolare dell'azienda di CaravaggioIl che significa che Valentin è una figura a metà tra il terzista sapiente e l'imprenditore che cavalca i mercati con un proprio portafoglio. Un Giano bifronte che incarna il passato/presente di molto italico indotto e insieme il suo futuro industriale, indicando una via evolutiva a chi non vuol scomparire nel dopo crisi. Non più un terzismo 'ripetitivo' al carro di altri mercati, bensì 'innovativo', capace di affacciarsi sulla scena internazionale con articoli specialistici e propri prodotti, ricevendone stimoli per investire in ricerca e non restare indietro sul marketing e l'innovazione. Altrimenti succede che si pianta il mercato tedesco e tutto il Triveneto va in fibrillazione. «Certo il sistema paese non facilita», ammette Valentin. «Gli incentivi statali alla ricerca non esistono, basti vedere la farsa del click day». Ma le crisi sono il momento per osare. «Quando giro - si appassiona - mi accorgo che il made in Italy ha un suo appeal». Forse per questo si porta sempre in valigia, da regalare, qualche copia del libro su Guglielmo Marconi, esploratore dell'etere, che Abe ha promosso nel 2005. «Marconi fu anche uno straordinario imprenditore internazionale che fondò ben otto aziende, sapete? – ricorda – e noi italiani non siamo secondi a nessuno anche sulla tecnologia».

Uno zio gesuita che è stato a Formosa e nella Cina nazionalista, nelle vene di Valentin non manca un certo spirito missionario. Prossimo obiettivo, dice, l'Africa. Per la Nigeria sta partendo il primo "armadio" intelligente. «Quasi tutti gli impianti tv in Congo sono nostri. Ma è il sistema paese che deve scommetterci. Abbiamo la possibilità di servire un'embrione di ceto medio che si sta formando». Altrimenti l'ombra cupa di Cinafrica si materializzerà. Pechino ha già scalzato l'ex potenza coloniale francese nei volumi di scambio economico (69 miliardi di dollari contro i 56 di Parigi). E qui esce fuori l'altro paradigma di Abe. Il baricentro economico mondiale che ruota a Sud-Est e la comparsa entro il 2015 di un miliardo di nuovi consumatori (600 milioni tra Cina, India e Africa e 100 nell'Est Europa) che rischiano di spiazzare un paese che esporta il 72% delle proprie merci ancora in area Ue. La crisi dunque non fermerà l'incremento di quella middle class globale che in Occidente si sta inabissando né le occasioni di business nei paesi Bric o in Turchia. Una morale che le piccole Abe d'Italia, in fondo, dimostrano di avere colto: se si naviga in mare aperto e si allarga la pattuglia di imprese italiane a tutto export (170mila su un totale di 5 milioni) il nuovo mondo post crisi può diventare un'opportunità anche per i Lilliput del made in Italy...

25 novembre 2009
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