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«Aridatece» il vecchio Pil, tanti difetti ma utilissimo

di Alberto Alesina

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15 dicembre 2009

Il Pil pro capite non sarebbe una buona misura della ricchezza di un paese: se ne discute sempre di più e le voci critiche aumentano. Ma allora dobbiamo davvero abbandonare il prodotto interno lordo come misura del benessere?

Prima di correre troppo vale la pena riflettere su alcuni punti. Se consideriamo l'insieme di tutti i paesi mondiali con l'esclusione dei 15-20 più ricchi, il Pil pro capite rimane un eccellente indicatore del benessere. Dite quale fra due paesi ha il Pil pro capite più alto, anche di relativamente poco, e si può affermare con certezza quasi assoluta quale di questi due paesi ha mortalità infantile più bassa, vita attesa più lunga, livello di istruzione maggiore, minore corruzione, istituzioni meglio funzionanti, e molte altre cose. Insomma il Pil pro capite ha una correlazione fortissima con praticamente tutti gli indicatori di benessere possibili immaginabili.

Quando però consideriamo la manciata di paesi benestanti allora le cose si fanno più complesse, ed è vero che il Pil diventa una misura meno completa ed esaustiva. Ma il problema è come trovarne altre. Se si abbandona una misura basata sul potere d'acquisto (il Pil pro capite in termini reali, appunto) entrano in gioco giudizi di valore impossibili da quantificare. Facciamo alcuni esempi. Una famiglia italiana del ceto medio di quattro persone vive in un appartamento di 110 metri quadrati in una zona semicentrale di una grande città. Una famiglia analoga del ceto medio americano vive in un villetta di legno di 300 metri quadri in uno di quei sobborghi che vediamo spesso nei film.

Meglio una casa più grande con giardino ma in un sobborgo che a noi pare noioso o 110 metri quadri rumorosi vicino al centro? De gustibus non est disputandum. Pensiamo poi a indicatori della sanità e immaginiamo due paesi con il Pil pro capite uguale: in uno la vita attesa è più lunga ma è anche maggiore la percentuale di depressione e suicidi. Quale paese ha dati sanitari migliori?

Oppure prendiamo due paesi con lo stesso livello di Pil pro capite ma con una diversa disuguaglianza sociale. Quest'ultima, con tutte le sue implicazioni morali ed economiche, può essere considerata un grave handicap da molti. Ma altri la potrebbero vedere come un meccanismo di stimolo a risalire la scala sociale, che crea incentivi a lavorare e studiare di più e meglio. Queste differenze caratterizzano in modo diverso, per esempio, Stati Uniti ed Europa. A seconda di quale criterio si usi si raggiungono risultati molto diversi sulla valutazione della disuguaglianza come criterio di benessere per un paese. Perfino sulle bellezze naturali si può discutere. L'Italia è uno dei paesi più belli del mondo, ma ha una densità di popolazione molto alta: per chi cerca la solitudine non è il posto ideale in cui vivere.

Rimane poi la ricchezza prodotta in casa, che può essere misurata (anche se non è facile) con criteri relativamente obiettivi. Come valutare il tempo che una mamma o un papà passano con i figli rispetto a quello di una baby sitter? Più produzione domestica significa anche una struttura familiare in cui, in genere, le donne stanno molto a casa. Ciò può aver dei costi di equità in rapporto agli uomini, così come di scarsa mobilità geografica e sociale. Come valutare con un numero tutto ciò?

Il presidente francese Nicholas Sarkozy recentemente ha provato a inventare una nuova misura di benessere, aiutato da un'ottima commissione di esperti. Viene però spontaneo chiedersi se l'obiettivo vero di Sarkozy non fosse quello di rivalutare senza fatica il benessere francese rispetto, soprattutto, a quello americano. In ogni caso queste nuove misure fanno parlare di sé per qualche settimana ma non possono andare troppo lontano, per i problemi citati.
Insomma il buon vecchio Pil, con tutti suoi gravi difetti, è difficile da sostituire. Teniamocelo.

aalesina@harvard.edu

15 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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