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L'Abc dei gap lavorativi uomo-donna

di Laura La Posta

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6 marzo 2209

Lisbona amara per le donne italiane. Almeno finora. Il nostro Paese, infatti, non raggiungerà gli obiettivi Ue dell'Agenda di Lisbona né sul fronte dell'occupazione femminile né su quello dei servizi alla famiglia. Servizi che dovrebbero liberare energie per consentire alle donne di lavorare di più fuori casa e incrementare così il reddito del loro nucleo familiare e la pensione futura.

Sotto quest'ultimo fronte, solo il 12,3% dei bambini (a livello nazionale, ma con forti discontinuità territoriali Nord-Sud e fra le Regioni) può accedere a un posto in un asilo nido (è questo il cosiddetto tasso di ricettività). Ciò a fronte di un obiettivo Ue di copertura media della domanda del 33% da raggiungere entro il 2010 (si veda l'approfondimento sul Sole 24 Ore del Lunedì del 9 marzo 2009). Un obiettivo irraggiungibile per il nostro Paese.
Neanche sul fronte dell'occupazione femminile ci avvicineremo agli obiettivi di Lisbona. Il tasso di occupazione delle italiane è del 47,2% (dati Istat terzo trimestre 2008). Ben lontano dal traguardo Ue del 60% di donne che lavorano entro il 2010.

Ecco l'Abc del gap occupazionale e retributivo tra uomini e donne riferito all'Italia.

Conciliazione vita-lavoro
Come ricordato da Micol Fornaroli e Daniela Scaramuccia di McKinsey, oggi le donne continuano a svolgere il cosiddetto "doppio lavoro" in casa e in ufficio. In Italia il fenomeno è forte: 5 ore e 20 minuti al giorno (rispetto all'ora e 35 minuti dell'uomo) sono mediamente dedicate a questioni domestiche o familiari. Sebbene lo scarto si riduca a livello europeo (4 ore e 29 minuti le donne, e 2 ore e 18 minuti gli uomini), il risultato è che le donne che riescono ad accedere ai vertici aziendali pagano un prezzo molto elevato: solo l'11% ha figli contro il 53% degli uomini.

Come evidenziato da Andrea Ichino dell'Università di Bologna, sommando il lavoro a casa e nel mercato, le donne italiane lavorano quasi due ore in più rispetto agli uomini. Ma lavorano circa tre volte più degli uomini a casa e la metà rispetto a loro nel mercato. In conseguenza di queste differenze che originano nella divisione dei compiti nelle famiglie, le donne investono di meno in quello che serve per competere con gli uomini nel mercato del lavoro, guadagnano meno dei loro compagni e faticano a raggiungere i livelli più alti delle gerarchie aziendali pubbliche e private (a meno di rinunciare alla famiglia, cosa che gli uomini non sono costretti a fare).

Il ministero delle Pari opportunità, guidato da Mara Carfagna, sta mettendo a punto un piano per la conciliazione tra famiglia e lavoro. Allo studio incentivi per i congedi parentali, part-time più estesi, voucher per sviluppare i servizi privati e l'introduzione della baby sitter di condominio. L'obiettivo sarebbe anche aumentare l'occupazione femminile del
5%. Si lavora alla creazione di un Fondo nazionale per la conciliazione in via sperimentale, alimentato dai risparmi scaturiti dall'innalzamento dell'età pensionabile per le lavoratrici della Pubblica amministrazione.

Gap occupazionale
Il tasso d'impiego delle donne nella Ue è pari al 56,3%: secondo l'Agenda di Lisbona sarebbe dovuto essere del 57% nel 2005, per arrivare al 60% nel 2010. La Commissione europea ha denunciato il ritardo di molti Paesi (tra cui l'Italia) nel raggiungere gli obiettivi di parità di Lisbona. Il tasso di occupazione delle italiane è, al momento, pari al 47,2% (dati Istat terzo trimestre 2008) e spacca in due il Paese. Secondo i dati Eurostat e Ilo, il Nord veleggia attorno al 57% nella fascia d'età tra 15 e 64 anni delle lavoratrici. Meglio della Spagna (55%), molto vicino alla media Ue (58,8%), alla Francia (60,6%). Dati ancora migliori sono quelli riferiti alla fascia d'età tra i 25 e i 34 anni: su quelli, il Nord Italia può vantare un 74,3 per cento. Meglio di Svezia e Danimarca. Al Sud, invece, il tasso di occupazione tra i 15 e il 64 anni è pari al 31,2 per cento (peggio che in Asia meridionale), il tasso di disoccupazione femminile è al 14,1% e sale al 36,2% nella fascia 15-24 anni, mentre quello di inattività (che comprende quindi anche le donne che non cercano lavoro) è inchiodato a un drammatico 63,7 per cento.

Gap retributivo/1: le dimensioni del fenomeno
Le donne europee guadagnano in media il 15% in meno degli uomini (si va dal 3% delle impiegate pubbliche al 30% tra i manager). Quelle italiane (dati Eurispes 2009) il 16% in meno rispetto ai colleghi, con uno scarto annuale medio che si aggira sui quattromila euro. Si va da un minimo dell'1,7% nelle professioni meno qualificate a un massimo del 20,8% nell'ambito degli operai specializzati. Stessa situazione per le mansioni cosiddette intellettuali, dove la differenza media di reddito arriva al 18,8%, e perfino nelle attività commerciali (13,4%). Meglio va fra gli impiegati (negli uffici lo scarto si riduce fino al 3,9%) e fra i dirigenti (3,3%).

Gap retributivo/2: il corpus normativo
Il gap retributivo tra uomini e donne è contrario a tutto il corpus normativo Ue e italiano. Nel Trattato di Roma, anno 1957, all'art. 141, è scolpito: salario uguale per uguale lavoro. Ci sono direttive Ue, dal 1975 a oggi, che riprendono il principio e sanciscono le pari opportunità per quanto riguarda mansioni, carriera, condizioni di lavoro. Ci sono la strategia di Lisbona e il Gender Pact firmato dai Governi e una tabella di marcia per raggiungere l'eguaglianza tra i sessi entro il 2010. A livello normativo, l'Italia è all'avanguardia con la legge Anselmi del 1977 che vieta discriminazioni. Il problema è che l'applicazione resta problematica. Sulla parte variabile dello stipendio, su premi, incarichi aggiuntivi con gettoni e sugli straordinari non si riesce a intervenire, a livello normativo. Le misure legislative, comunque, non bastano: bisogna cambiare la cultura in molti Paesi, ancora pervasi da stereotipi.

  CONTINUA ...»

6 marzo 2209
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