Bologna resta una città grassa, con un Pil pro capite (35.600 euro) secondo solo a Milano. Ciò non toglie che nel lungo riflusso odierno del post, come lo chiamano alcuni osservatori davanti a un caffè in Piazza Grande (post Romano Prodi a palazzo Chigi, post Sergio Cofferati, il sindaco "straniero" in comune, e post Luca Cordero di Montezemolo alla presidenza della fiera) stia subendo l'onda lunga della globalizzazione.
Allargando un po' lo spettro, su 262 regioni europee censite regolarmente dall'Eurostat, l'Emilia Romagna è passata dal 17° al 41° posto (2001-2007) nel reddito pro capite a parità di salario. E dal 26 al 39° per la produttività.
In più crescono le diseguaglianze e, spiegano alcuni studiosi come Francesco Ramella autore di Cuore rosso? Viaggio nell'Italia di mezzo (Donzelli editore), «si fa strada un certo tipo di senso comune più omogeneo al resto del paese». Una maggior aderenza al mainstream delle parole classiche della politica odierna: tasse, sicurezza, immigrazione e infrastrutture.
Inoltre il blocco tradizionale e la composizione sociale sta rapidamente cambiando. Il voto cattolico si sposta a destra e i ceti produttivi, gli artigiani e i padroncini, si radicalizzano. Evoluzioni tipicamente padane. Erodendo quel microcosmo di piccola industria cresciuto all'ombra del modello cooperativo e di un presenzialismo istituzionale tipico della sinistra riformista centro-italiana. A Roma l'ortodossia, non di rado dogmatica.
In periferia una docile flessibilità che, negli anni, sulla via Emilia ma soprattutto a Bologna, ha saputo cementare una élite cittadina trasversale (e un po' chiusa) di cui oggi gli epigoni sono l'highlander Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Carisbo e capo della fiera post Montezemolo. Per cui è più potente di quando era rettore. Il commercialista della Bologna che conta, Piero Gnudi, amico di Prodi ma anche di Fini e Casini (è lui che ha portato Rolo Banca in Unicredit). La camera di commercio di Bruno Filetti, ex Ascom (i commercianti), successore del potente Giancarlo Sangalli oggi in parlamento. Passando per la galassia grande industriale: i Maccaferri, i Cocchi, i Vacchi, i Marchesini, i Cazzola e quell'Andrea Riffeser padrone del Carlino.
«L'aumento della competizione internazionale, i processi di delocalizzazione produttiva e la crescente terziarizzazione del lavoro, stanno facendo il resto, spiazzando i meccanismi tipici e rodati di rappresentanza degli interessi», prosegue Ramella. E più le aziende si allineano alle performance lombardovenete, più esplode l'emergenza immigrazione, più il peso del fisco si fa tentacolare, più la città accerchia la campagna, urbanizzandola e terziarizzandola come fosse un unico grande Lego, e più questa omogeneizzazione finisce per influenzare i comportamenti sociali e le sensibilità di un territorio dove i lavoratori autonomi sono in valore assoluto meno che nel profondo nord, ma in percentuale alla popolazione totale addirittura più numerosi che in Padania: 7,5% contro il 6,6% del Nord-Est e il 6,5% del Nord-Ovest. Lo stesso vale per la densità di addetti in imprese con meno di venti dipendenti: 24% nel Bolognese; 23,6% nel Nord-Est e 22% nel Nord-Ovest.
In fondo il precedente di Giorgio Guazzaloca nel '99, e la crescita impetuosa del leghismo emiliano nelle ultime tornate elettorali, è esattamente l'avvisaglia, il pendant politico, di questo scongelamento della sub-cultura rossa, al di là delle pecche di una sinistra che continua a suicidarsi.
Naturale, in questo quadro, l'esplosione dell'emergenza fisco. Sulla falsariga delle grandi province manifatturiere del Lombardo-Veneto: Varese, Lecco, Bergamo, Brescia, Vicenza, Verona e Treviso. Aggravata da una crisi che ha scaraventato l'Emilia Romagna al quarto posto fra le regioni italiane che più ne hanno subito l'impatto (dopo Piemonte, Marche e Umbria). E in cima, soprattutto, alla classifica sui fallimenti aziendali: +58,2% nel primo quadrimestre 2009 sul 2008 (secondo l'Ufficio studi divisione retail di Unicredit, paper presentato l'altro giorno a Modena al comitato territoriale Via Emilia). Dati e numeri, a cui uno dei territori più ricchi d'Europa, non era affatto abituato.
(M.Alf.)