Quattro denunce di contraffazioni nel giro di pochi mesi: «Questo ci allarma, ma al tempo stesso ci fa piacere: vuol dire che i nostri prodotti fanno tendenza. E quindi devono essere copiati». Andrea Ghizzani, presidente del Consorzio vera pelle conciata al vegetale, non ha dubbi: la scelta di tornare alle produzioni antiche, senza additivi chimici, ha pagato. Siamo nel distretto della pelle di Santa Croce sull'Arno, con quasi 500 aziende impegnate in un settore di alta qualità. Ventisei di queste aziende, con un fatturato complessivo che nel 2008 è stato di 161 milioni e quest'anno scenderà a poco meno di 150 (una contrazione leggera se confrontata con i crolli registrati negli altri distretti della concia), si sono consorziate per dare vita a un sistema produttivo con standard ambientali molto severi. È nato così il Consorzio vera pelle conciata al vegetale: era il 1994 e in quel periodo nessuno, o pochissimi, parlavano di green economy, a dimostrazione che le imprese intercettano al volo i bisogni dei clienti.
«Per lavorare le nostre pelli - assicura Ghizzani - usiamo solo tannini ricavati dalle cortecce di alberi dell'America del Sud, come il quebracho, il castagno e la mimosa che, in base a un preciso protocollo, non devono essere abbattuti. Via gli additivi e i prodotti chimici, abbiamo deciso di tornare alle tradizioni dei maestri artigiani, custodi di abilità secolari che si sono tramandate da padre in figlio».
Una larga parte della pelle "naturale" viene utilizzata dai grandi marchi, come Gucci, Roberto Cavalli, Armani, Valentino, Tod's, The Bridge. È la qualità del made in Italy versione green: una lenta metamorfosi (le pelli restano immerse 30-40 giorni in grandi bottali) che porta a caratteristiche che durano nel tempo e sfumature uniche che fanno sì che ogni pezzo sia diverso dall'altro.
Una scelta "etica" ma al tempo stesso molto imprenditoriale, visto che la concia vegetale ha permesso alle 26 aziende di differenziarsi rispetto ai tradizionali concorrenti italiani e, al tempo stesso, di crearsi un vantaggio competitivo sui produttori dei paesi in via di sviluppo.
Tradizione dunque, tecnologie innovative e marketing (curato da Oliviero Toscani) molto attento. E una targhetta di tracciabilità che permette di risalire a tutti i processi di lavorazione e trasformazione. «Abbiamo già distribuito - spiega il presidente del Consorzio - dieci milioni di etichette. E al primo posto c'è stato il Giappone, molto attento alle informazioni sul prodotto».
La grande crisi? «Abbiamo patito meno degli altri: il nostro cliente è disposto a pagare di più per un prodotto naturale». Pensate di ampliare il consorzio? «Noi non corriamo dietro a nessuno - conclude Ghizzani - e non cerchiamo di aumentare il consorzio. E, soprattutto, non siamo disposti ad abbassare gli standard qualitativi pur di far numero. Anzi, casomai dovremo essere ancora più severi».