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«Con un architetto - spiega Tubertini - abbiamo sviluppato un modello di bar che oltre al nostro caffè proponga anche appeal grafico particolare. Contiamo di proporlo sul mercato nei prossimi mesi come un prodotto solido nella qualità, legato alla tradizione ma originale nello stile e avanzato nella tecnologia».
La banca-ore per i call center
Al di là delle singole gare e commesse, gli Abramo hanno chiaro il nodo da sciogliere: oscillazioni brusche dei volumi legate alle politiche commerciali dei committenti che possono mutare ma anche a decisioni amministrative, come nel caso della regolarizzazione dei Lap nel 2007 o alla delibera dell'Autorità delle comunicazioni che da metà settembre ha di fatto azzerato l'attività di retention, imponendo tre giorni come tempo massimo per il trasferimento di un cliente da un operatore telefonico all'altro.
«Tim ha disdetto il contratto. Ora - racconta Sergio Abramo - dobbiamo trovare qualcosa per questi dipendenti, non li manderemo a casa, sarebbe una perdita anche per l'azienda. Non possiamo pagare gli stipendi a vuoto troppo a lungo, in attesa di commesse». E arriva al punto: il contratto delle telecomunicazioni. «È un modello incompatibile con l'attività di call center. Abbiamo bisogno di maggiore flessibilità». Perciò la Abramo ha chiesto all'associazione che raccoglie le aziende del settore di intervenire. Il modello suggerito è quello della banca-ore: si lavora se ci sono commesse, altrimenti si sta a casa. Rispetto al contratto a progetto il lavoratore avrebbe la garanzia di essere richiamato in azienda quando il lavoro c'è: un compromesso tra flessibilità e stabilità dell'occupazione.
Intanto però bisogna muoversi. «Studiamo l'avvio di call center low cost in Albania. È ancora un progetto allo stato embrionale e non risolverebbe il problema dei nostri dipendenti in Calabria. Stiamo provando tutte le strade, anche istituzionali, ma è dura», spiega Andrea, giovane manager della quarta generazione di una famiglia che nel 2008 ha festeggiato il centenario di attività: era il 1908 quando il capostipite fondò a Catanzaro la Tipografia popolare Giovanni Abramo, diventata poi un simbolo della città. «Vogliamo restare in Calabria - chiude lo zio Sergio, ex sindaco del capoluogo e consigliere regionale del Pdl -, siamo nati qui, la manodopera è qui e qui vogliamo mantenerla. Esistiamo da cent'anni e supereremo anche questo momento».