di Mario Margiocco
La finanza aveva più glamour prima del settembre 2008. Capire che cosa sta maturando sui mercati finanziari resta comunque di vitale importanza, soprattutto ora che c'è grande attesa per due fenomeni convergenti: una graduale riduzione della volatilità, e il varo di nuove regole per i mercati. Robert F. Engle, 66 anni, Nobel 2003, ha legato il suo nome al modello statistico Arch (Autoregressive conditional heteroskedasticity), ampiamente utilizzato per misurare la volatilità a breve sui mercati, e che è in grado d'indicare l'aumento del nervosismo e delle oscillazioni, non la portata del fenomeno. Molto usati dagli operatori, questo e analoghi modelli si sono rivelati utili come "bandierine" che segnalano il livello di pericolosità della spiaggia - bandiera azzurra, gialla, o rossa – ma non possono prevedere le condizioni del mare nei prossimi giorni, né fornire una previsione meteo completa.
Nel dibattito che si tiene in molte sedi accademiche e politiche al momento, in America in Europa e nel mondo, e che sul Sole24 Ore è stato definito dalle due tesi presentate da Guido Tabellini e da Luigi Zingales, il professor Engle è più vicino alle posizioni di Tabellini, editorialista del Sole e rettore della Bocconi: quanto accaduto in autunno e inverno sui mercati è un grave incidente di percorso, ma recuperabile, del sistema finanziario. Per Zingales invece, docente alla Business School dell'Università di Chicago, il 2008-inizio 2009 è qualcosa di più. Ci sarà la ripresa, ci sono già segnali, ma non sarà più come prima.
«Avremo ancora volatilità sui mercati, anche parecchia, sia pure meno di quanto successo in autunno. Ma la crisi sta gradualmente rientrando - dice Engle -. Siamo fuori dalla rianimazione». Da alcuni anni professore alla Stern school of business della New York University, Engle - intervistato dal Sole 24Ore in occasione della partecipazione al convegno "La volatilità dei mercati finanziari" organizzato da Unipol gruppo finanziario a Bologna lo scorso 14 maggio - dà un giudizio sostanzialmente positivo sulla linea adottata dal ministro del Tesoro, Timothy Geithner. Ma insiste sul fatto che le nuove regole dovranno essere scritte e coordinate con grande attenzione, insieme severe ed elastiche, per evitare che i grossi protagonisti che non possono fallire facciano danni, e per lasciare che i piccoli, che invece possono fallire, possano anche innovare.
A che punto siamo nella crisi: banche meno insolventi, nuove regole in arrivo, governi meno attivi, oppure no?
Sono stati fatti passi avanti. Il paziente è fuori dal reparto di cure intensive.
Possiamo avere nuove regole e mercati grandi ed efficienti?
È un passaggio delicato. Le regole vanno concordate e formulate bene. Si è visto che il mercato non si autoregola. Ma occorre fare appello anche a incentivi, non solo a divieti.
C'è un nuovo business model per le banche?
La crisi finanziaria ha messo in evidenza due realtà nefaste. Da un lato una valutazione inadeguata del rischio, praticamente da parte di tutti: management, regolatori, banche centrali, agenzie di rating e altri. Dall'altro, molti, troppi incentivi nel sistema bancario ad ignorare una corretta valutazione del rischio. Occorre ricordare che ci sarà sempre la spinta all'innovazione finanziaria, e che le banche avranno personale meglio addestrato e meglio pagato di chi dovrà controllarle, e quindi occorre costruire un insieme di regole che servano non solo a evitare gli errori del passato, ma anche a imbrigliare le spinte nuovamente rischiose del futuro.
Ci sono molte banche a rischio insolvenza?
Lo stress test dell'amministrazione Obama dice che fra le grandi ve ne sono due, negli Stati Uniti. Non so la situazione fra le banche minori. Ma qui la Federal deposit insurance corporation (Fdic) ha metodi collaudati d'intervento e ripulitura. Per l'Europa penso vi sia maggiore incertezza, perché non è stata fatta ancora una valutazione chiara delle perdite. E quindi se la crisi dei mercati finanziari continua, potrebbero esservi effetti. Magari anche la necessità d'iscrivere fra le ammalate qualche banca che tutti ritenevano sana.
Lei è per un ritorno a qualche forma del vecchio Glass-Steagall Act?
No, non credo sarebbe efficace. Quella legge degli anni 30 era, al nocciolo, una separazione fra banca commerciale e banca d'affari. Ma il problema oggi non è di separare le due entità. Sono state le banche d'affari di Wall Street a diventare too big to fail, a gonfiarsi a dismisura. Quindi un qualche ritorno allo Glass-Steagall non risolverebbe il problema.
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