Il mondo ha scoperto con orrore che il sistema finanziario internazionale era come le stalle di Augia, che nessuno aveva mai spazzato e che Ercole dovette ripulire in un solo giorno come sua sesta impresa. Non lo ha detto un estremista no global, ma l'austero Financial Times, la bibbia della finanza internazionale. Questo dà l'idea del lavoro da fare: un'autentica fatica mitologica e anche quella più sgradevole di tutte.
Sappiamo ormai cosa non ha funzionato e soprattutto quali sono le regole da scrivere. Il governatore di Bankitalia Draghi le ha sintetizzate in quattro termini: più regole, più capitale, meno debito, più trasparenza. Più specificamente, fin dall'aprile del 2008, sia l'Fmi sia il Financial Stability Forum (composto dai principali regolatori e presieduto da Mario Draghi) sia il Gruppo dei Trenta (un autorevole organismo in cui compaiono nomi di prestigio come Paul Volcker e Tommaso Padoa-Schioppa) hanno formulato precise raccomandazioni. Occorrono infatti poche ma precise regole per raggiungere due fondamentali obiettivi: da un lato riportare gradualmente le banche alla loro missione originaria di finanziatori dell'economia reale e dall'altro salvare la parte buona della securitisation.
È cosa buona e giusta rendere trasferibile il rischio di credito: ma se non funziona il meccanismo di accertamento del prezzo la logica stessa del trasferimento è minata alla base. Non era adeguata la trasparenza del meccanismo di determinazione dei prezzi di emissione; non erano monitorati i conflitti di interesse degli emittenti e delle agenzie di rating, non era trasparente il mercato su cui questi titoli erano trattati (gestiti, si badi, dagli stessi emittenti).
Gli eccessi della securitisation sono avvenuti perché non sono stati imposti vincoli di standardizzazione degli strumenti emessi (come avviene da sempre nei mercati dei titoli tradizionali), favorendo una tale proliferazione di titoli uno diverso dall'altro, che non si è riusciti a capire la rischiosità intrinseca e il nesso con le attività sottostanti. Anche qui non c'è bisogno di inventarsi norme particolarmente severe e complesse: basta applicare a tutti i mercati, compreso quello dei titoli strutturati, le norme generali pensate per garantire trasparenza e correttezza ai mercati tradizionali delle azioni e delle obbligazioni. Il che significa scrivere le norme guardando soprattutto agli interessi degli investitori finali e non solo a quelli della finanza.
Come le banche devono tornare ad essere più vicine alle imprese, così i mercati devono tornare a funzionare nell'interesse degli investitori finali. Questa è anche un'esigenza sociale perché, in paesi che invecchiano e in cui i sistemi pensionistici pubblici sono in crisi, solo i mercati finanziari - e quelli azionari in particolare - possono assicurare un'accumulazione adeguata e dunque un avvenire migliore.
Costruire un sistema finanziario che pensi soprattutto agli interessi degli investitori significa soprattutto rafforzare il settore degli investitori istituzionali (in particolare, fondi comuni e fondi pensione), che della crisi attuale sono stati in parte vittime, ma anche corresponsabili, perché non hanno per tempo individuato gli elementi di opacità e rischiosità che si andavano accumulando.
La crisi degli anni Trenta ha alimentato negli Stati Uniti un importante dibattito teorico e istituzionale, basato sul sacro principio che questi intermediari operano con soldi degli altri - Other People's Money è il titolo dell'opera di uno dei protagonisti dell'epoca, Louis D. Brandeis, che ha contribuito all'istituzione della Sec e ne è stato anche presidente - nel senso che sono responsabili del rendimento che otterranno gli investitori, a differenza delle banche, che hanno solo l'obbligo di restituire il capitale, maggiorato degli interessi pattuiti. In altre parole, come, dopo la Grande crisi, le nuove regole per gli investitori istituzionali sono state considerate una delle soluzioni fondamentali per costruire un sistema finanziario più equilibrato, così, oggi, dobbiamo pensare quali possano essere le nuove regole per rifondare il sistema del risparmio gestito e riportarlo ad assolvere al meglio il suo compito fondamentale.
Il capitalismo finanziario dal volto umano richiede regole scritte pensando agli interessi degli utenti finali, non a quelli della finanza in se stessa. E solo regole adeguate e regolatori veramente indipendenti possono ottenere questo risultato. Gli squilibri della finanza prima o poi esplodono, ma possono lasciare in eredità una situazione ancora peggiore di prima. Come si legge nel Contesto di Sciascia, in cui un personaggio chiede: «Ma non vede quel che succede nel nostro paese? I nodi vengono sempre al pettine». «Quando c'è il pettine», conclude malinconicamente l'altro. Le regole sono proprio il pettine che ancora manca.
L'articolo è un estratto dal capitolo «Per il primato delle regole» del libro «I nodi al pettine»
IL LIBRO
Marco Onado, I nodi
al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte, edizioni Laterza, pagg. 202,
€ 15,00
Il volume sarà in libreria da domani