«Abbiamo evitato un grande blow up e ora ci troviamo nel mezzo di un grande tentativo di cover up». Così riassume l'attuale momento un lucido finanziere svizzero con il quale concordo. Abbiamo evitato una grossa esplosione e questa è un'ottima notizia. Ma non l'abbiamo evitata come qualche anima bella del partito dei talebani del mercato si ostina pateticamente e, contro ogni evidenza, a ripetere, grazie alla capacità di autoregolamentazione dei mercati.
L'abbiamo evitata perché i governi hanno buttato nel fuoco trilioni di dollari, a debito dei contribuenti presenti e futuri (per molti anni), scardinando gli equilibri di finanza pubblica di tutti i principali paesi, sacrificando qualunque logica di mercato e di giustizia all'esigenza del "too big to fail", nazionalizzando di fatto gran parte del sistema bancario, sacrificando gli investimenti di cui il mondo ha bisogno, ponendo, quasi sicuramente, le premesse per una prossima severa inflazione. Penso che i governi abbiano fatto bene a fare ciò, ma che dobbiamo essere consapevoli di quanto è realmente successo e incominciare a porci delle domande sulle conseguenze (tipo: resterà la politica fuori dalla gestione delle banche dopo averci messo tanto capitale?) anziché continuare a raccontare fiabe.
Oggi è partita a livello internazionale una grande azione di cover up, per evitare sia una corretta
resa di conti dei responsabili, sia una seria correzione del sistema. Ho sempre considerato come uno dei sintomi più inequivocabili dell'estrema gravità della crisi il fatto che, questa volta, l'America non abbia, per ora, attaccato i responsabili. L'America, in materia finanziaria, è sempre stata disinvolta e tollerante, salvo poi, in caso di sviluppi infausti, chiamare i responsabili a una dura resa di conto. L'ultima volta è stata con gli scandali societari dal 2001-2003, per i quali l'America usò, nei confronti dei responsabili, il pugno di ferro.
In questa crisi, invece, che è tante cose ma nella quale c'è anche certamente il più colossale schema Ponzi di tutti i tempi, di fronte al quale il povero Madoff appare un'educanda, non vi è per ora nessuna seria chiamata al tavolo delle responsabilità. Non esiste segnale più evidente della grande paura che ha attanagliato l'America ufficiale di questa non consueta inerzia. Sarà necessario aspettare le liti furibonde che si scateneranno tra banche, assicurazioni, hedge fund, fondi pensione, gestori di patrimoni, portatori di obbligazioni bidone (tipo Rembs, Residential mortgage backed securities), famiglie mutuatarie che rientrano nei criteri dell'Helping families save their homes act (circa 4 milioni di famiglie), per sentire parlare seriamente di responsabilità.
Ma vi è un altro cover up, più grave e insidioso, che interessa non solo l'America ma tutti noi e che attiene alla natura stessa della crisi. È il cover up intellettuale che tende a descrivere la crisi come un imprevedibile incidente tecnico di percorso. Questa lettura serve per poi poter concludere: e quindi non vi è nulla da fare e nulla da cambiare, ma solo aspettare che la congiuntura passi per riprendere tutto come prima.
Su questa linea si pone uno dei maggiori responsabili, l'ex governatore della Fed Alan Greenspan: «Ma prevedere l'insorgere di una crisi è qualcosa che appare al di là delle nostre capacità di previsione». Sulla stessa linea il premio Nobel Vernon L. Smith in una delle più futili, superficiali ancorché, come si dice, eleganti, letture della crisi che mi è capitato di ascoltare in una conferenza a Milano presso l'istituto Bruno Leoni: «I fenomeni di cui stiamo indagando sono intrinsecamente imprevedibili». Su una linea analoga si pone il professor Guido Tabellini: «In molti si aspettavano che la bolla immobiliare americana prima o poi sarebbe scoppiata. Ma ben pochi immaginavano che ciò avrebbe travolto i mercati finanziari di tutto il mondo».
E invece la crisi era prevedibile ed è stata prevista dai soliti grilli parlanti che hanno detto, più o meno, quello che il grillo parlante disse a Pinocchio: «Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito o sono matti o sono imbroglioni». Ma, come capita sempre ai grilli parlanti, non furono ascoltati. È più eccitante ascoltare e seguire il gatto e la volpe, cioè i banchieri d'affari, che promettono raccolti mirabolanti nel Campo dei miracoli ben concimato dai funamboli alla Greenspan.
Fu prevista, solo per fare qualche veloce esempio, da Claude Bébéar (Uccideranno il capitalismo, 2003); da John R. Talbott (The coming crash in the Housing Market, 2003; e Sell Now! The End of the Housing Bubble, 2006); Jean Peyrelevade (Capitalismo totale, 2005); Robert J. Shiller (Irrational Exuberance, 2000); Marco Vitale (America. Punto e a capo, 2002) e da tutti coloro che sapevano, anche su basi teoriche e storiche ben solide, che: la corsa al gigantismo bancario (come aveva già bene analizzato il rapporto Ferguson nel 1999-2000, tenuto ben nascosto sotto strati di silenzio); l'uso sfrenato del leverage a tutti i livelli: bancario, conti pubblici, private equity, famiglie; la concentrazione spinta della ricchezza legittimata dalla demenziale teoria della trickle down economy con la crescente polarizzazione tra ricchi e poveri che uno studioso americano serio, profondo, documentatissimo, conservatore, repubblicano, consulente di presidenti repubblicani da Nixon a Bush padre ha, in termini molto preoccupati, chiamato senza esitazione: plutocrazia; che l'abnorme, inaccettabile e non contestata posizione di potere e di denaro assunta dai Ceo, veri e propri neofeudatari; che tutto questo non poteva non portare, prima o poi, a un disastro anche se restava incerto il quando e quale sarebbe stato il detonatore.
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