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Sbagliare non era obbligatorio

di Marco Vitale

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Domenica 24 Maggio 2009

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Tabellini attribuisce questo disastro mondiale a un «banale errore di valutazioni tecniche... La crisi è scoppiata per via di alcuni specifici problemi tecnici riguardanti il funzionamento e la regolamentazione dei mercati finanziari ed è stata acuita da una serie di errori commessi durante la gestione della crisi... Parlare di crisi del capitalismo, di fine della globalizzazione, di crisi di un sistema e di un modo di pensare, sarebbe una solenne stupidaggine».

Per trovare queste solenni stupidaggini il lettore non deve fare difficili ricerche bibliografiche. È sufficiente che legga i discorsi di Barack Obama nel corso della campagna elettorale, con la quale, il neo-presidente, ha riacceso la speranza nel cuore degli americani, ben riassunti e commentati da John R. Talbott nell'importante libro Obamanomics (2008).

All'inizio dello scoppio della crisi (Il Sole 24 Ore del 28 settembre 2008) scrissi: «Questa non è la fine o la crisi del capitalismo, ma la fine di una degenerazione del capitalismo e di una concezione che lo ha retto negli ultimi vent'anni..., questa non è la crisi del mercato ma della degenerazione del mercato...; è profondamente errato dire (come allora molti economisti dicevano) che questa è una crisi finanziaria che non tocca l'economia reale, anche se l'impatto sull'economia reale non avrà niente a che fare con quello che ebbe la crisi del '29; la natura della crisi è tale che essa non solo avrà effetti importanti sull'economia reale, ma avrà effetti geopolitici; dalla crisi si sta consolidando l'immagine di un mondo più articolato e con molteplici motori di sviluppo».

Questi cinque punti d'orientamento restano a mio avviso più che mai validi dopo quasi un anno di crisi e sugli stessi bisogna esercitare un grande sforzo di pensiero, serio, profondo, indipendente. Altro che «stupidaggini».

Per fortuna ci sono studiosi e operatori che, non rientrando tra i menestrelli del supercapitalismo, hanno iniziato una riflessione molto seria sulle reali cause di fondo della crisi (altro che errori di valutazione tecnica!) come Zamagni, Soros, Attali, Stiglitz, Fitoussi. Questi sono buoni compagni di strada per andare a fondo delle cose e per sforzarci di uscire migliori e quindi profondamente cambiati da prima della crisi.

Sono i menestrelli del tutto come prima e i talebani del mercato i veri nemici del capitalismo, se vogliamo continuare ad usare questa parola che grandi storici dell'economia come Braudel e Cipolla (ma prima di loro Einaudi) ci hanno insegnato essere molto ambigua e da dismettere. Qualcosa, sia pure lentamente, sta cambiando, come il seguente test può dimostrare. «Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile; ma devono raggiungere questi giusti fini soltanto con il servire meglio il pubblico».

Queste parole furono pronunciate da Luigi Einaudi nella Relazione del Governatore della Banca d'Italia per l'esercizio 1943 letta nell'aprile 1945. Se Luigi Einaudi avesse pronunciato queste parole nell'America di quattro anni fa sarebbe stato, probabilmente, internato al neurodeliri. Oggi rimarrebbe a piede libero, anche se sarebbe irriso a mezza bocca dai Summers, Geithner, Rubin e dai cantori e maggiordomi del supercapitalismo. Ma sarebbe difeso da Barack Obama e da Volcker, forse l'unico personaggio rispettabile del vecchio establishment finanziario americano.

Domenica 24 Maggio 2009
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