«A questo punto, è il caso di bere qualcosa di forte», disse chi presiedeva una sessione dei lavori - la sala non era stracolma - a un incontro del Fondo monetario, a Washington, il 7 settembre 2006. Nouriel Roubini aveva appena detto, tra l'incredulità e qualche sorriso, che il mercato immobiliare americano sarebbe crollato e che l'effetto impoverimento avrebbe fatto sparire il grande consumatore americano, tolto credibilità a centinaia di miliardi di titoli immobiliari cartolarizzati sparsi per il mondo, e portato a una grande recessione globale. Esattamente quanto è successo.
Roubini non era molto in alto allora nella gerarchia accademica ma, uomo di punta di una piccola pattuglia che ha visto sostanzialmente giusto e per tempo, adesso vola da un continente all'altro, richiestissimo da convegni blasonati, grandi gruppi, banche centrali e governi. Ha parlato al Congresso, al Council on Foreign Relations, a Davos, e in dozzine di club ancora più esclusivi in giro per il mondo. Di famiglia ebrea iraniana, cresciuto in Turchia e in Italia, allievo di Jeffrey Sachs ad Harvard, scapolo, cinquantenne da due mesi, Roubini è un cittadino del mondo e un inveterato giramondo, che ama parlare di un paese dopo averlo visto. Per la rivista «American prospect» è il numero due tra i 100 intellettuali che più contano, secondo solo al generale David Petraeus. Il suo sito e la sua società di consulenza, Rge Monitor, sono richiestissimi.
È sempre interessante ascoltare l'opinione di chi, nuotando controcorrente, è andato avanti per la propria strada. Questo non perché ha vinto alla lotteria delle previsioni, ma perché ha dimostrato di avere criteri di analisi più giusti di altri, che non garantiscono automaticamente la stessa capacità in futuro, ma valgono certamente di più della griglia interpretativa di chi non aveva capito nulla, o poco.
Con il peso della crisi spostato ora dal mercato ai bilanci pubblici scattati in soccorso, ci sarà il nodo del rating finanziario, anche dei maggiori Paesi, cioè del livello della loro solvibilità di lungo periodo, assoluta, buona, discreta o debole. La perdita della tripla A, il punteggio massimo, è una possibilità che S&P prevede per la Gran Bretagna fra tre anni se il debito pubblico sarà pari al 100% del Pil, ed è una prospettiva non più impensabile per gli stessi Stati Uniti, che questo rating d'affidibilità finanziaria hanno dal 1917, ininterrottamente. «Washington farà di tutto per evitarlo, e conosce il rischio. Ma questo - dice Roubini, secondo cui l'uscita dalla crisi non sarà né semplice né rapida - potrebbe essere un elemento cruciale».
Siamo o no alla vigilia di una ripresa consistente, e possiamo dire che la crisi è finita?Io penso che l'uscita dalla crisi sia un processo lento. Adesso abbiamo gli ottimisti secondo i quali siamo già in ripresa, comunque ci saremmo fra pochissimi mesi. E i meno ottimisti, fra i quali mi pongo, che non negano qualche fenomeno positivo, il rallentamento della caduta, ma sono convinti che il peso del debito è così alto che avremo circa due anni di crescita molto debole. Quindi, il meltdown è stato arrestato, ma la ripresa, quella vera, è ancora piuttosto lontana. Prevedo quindi due anni pieni di crescita debole.
Ma l'ottimismo che si manifesta da più parti?
Si può essere un po' meno pessimisti di qualche mese fa, ma occorre realismo. È un debito abnorme ad averci ridotto così male, e questo debito deve essere ancora riassorbito. Tutto il sistema sta continuando a rientrare dai debiti, e ne avrà ancora per un bel pezzo. Da chi dovrebbe venire una ripresa pimpante, dalle famiglie americane, britanniche, australiane, neozelandesi, spagnole, irlandesi o islandesi che stanno onorando, quando ci riescono, esposizioni debitorie senza precedenti? Lo slancio di una vera ripresa non può venire dal sistema bancario e finanziario, che come dice il Fondo monetario ha ancora qualche migliaia di miliardi, circa tre secondo il Fondo, qualcosa di più secondo me, di perdite da colmare. Non può venire dal settore corporate, dalle imprese, a loro volta indebitate eccessivamente. I governi, che hanno salvato la situazione, hanno messo gli Stati a garanzia di tutto questo debito, e i mercati stanno reagendo positivamente, ma il debito resta, e diventa in molti casi debito pubblico; un costo molto basso del denaro aiuta, ma non so fino a che punto gli Stati riusciranno a raccogliere denaro remunerandolo così poco. C'è poi il fatto che alcuni paesi, Gran Bretagna e Stati Uniti fra questi, monetizzano il debito o sono pronti a farlo, e questa è una ricetta per trasformare l'attuale deflazione, o rischio di deflazione, in inflazione. Quindi, la situazione è complessa e impone di procedere con tempi non rapidi.
Vede il rischio di nuove forti perdite bancarie negli Stati Uniti e in Europa?
Direi che i rischi sistemici sono stati superati. Non vedo più situazioni da sala di rianimazione. Ma la possibilità di numerose embolie locali.
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