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28 maggio 2009

La crisi finanziaria ha un colpevole spesso dimenticato: le cattive regole di governo delle relazioni tra politici, banche centrali e altre autorità di controllo, negli Stati Uniti come in Europa. È una dimenticanza che può costare cara, per almeno tre ragioni: la cattiva governance pubblica ha giocato un ruolo cruciale; è il frutto non del caso, ma della convenienza che politici, burocrazie e parte della finanza possono avere a mantenere l'attuale statu quo; infine, poiché finora nulla è cambiato, i danni si possono ripetere.
L'analisi di Guido Tabellini ha proposto come possibile spiegazione della crisi finanziaria ancora in atto una serie di fallimenti della regolamentazione che, se non affrontati e risolti, continueranno a rappresentare una minaccia alla ripresa di un regolare funzionamento dei mercati. Il tema di come regolare i mercati s'intreccia con quello di chi regola i mercati. Il secondo è però molto meno analizzato del primo. Questo può essere un grave errore.
Innanzitutto perché il cattivo disegno della governance che disciplina le relazioni tra i politici, le banche centrali e le altre autorità di vigilanza finanziaria è una delle cause che hanno consentito a un fenomeno nato in uno specifico comparto della finanza americana di svilupparsi fino a divenire crisi economica mondiale. Il punto di partenza è la scelta di politica economica di creare un mercato finanziario globale e complesso. La finanza doveva essere globale, nel senso di superare sia i tradizionali confini d'attività - banca, mercato mobiliare, assicurazioni - sia geografici. La finanza diviene sempre più complessa, sotto la spinta di un'applicazione sistematica di tutte le innovazioni tecnologiche nella trattazione delle informazioni alla produzione e distribuzione di prodotti e servizi finanziari.

Ma come si governa una finanza sempre più integrata e complessa? La governance della regolamentazione deve avere almeno tre qualità. La prima parola d'ordine è: informazione. I vigilanti devono avere informazioni, il più possibile aggiornate e complete. Non è forse un caso che, a partire dagli anni 80, è iniziato, soprattutto in Europa, un processo di consolidamento delle autorità di controllo, con la comparsa, e poi la diffusione, di modelli integrati, con uno massimo due supervisori. Questo processo è stato però troppo timido: i sistemi di controllo negli Stati e in Europa sono ancora molto frammentati (balcanizzati). Due i maggiori problemi: deficit informativi (nessuno può dire di sapere tutto); deficit di responsabilità (a nessuno si può dire di essere l'unico responsabile). Con un sistema di controllo balcanizzato, anche l'efficacia del come si regola subisce un duro colpo, perché le falle di un supervisore si trasmettono da un comparto all'altro del mercato finanziario globale, con effetti di azione e retroazione negativi.
La seconda parola d'ordine è: reputazione. I vigilanti devono avere un'alta reputazione. Tutti devono fidarsi non solo delle loro capacità di conoscere banche e mercati ma anche d'intervenire, come si dice, senza guardare in faccia nessuno. In altri termini, occorre che chi controlla - banca centrale o altra autorità finanziaria - sia ritenuto al di sopra di ogni sospetto. Qual è il rischio? Che i politici, oppure le banche controllate, ovvero politici e banche coalizzate, possano negativamente influenzare chi controlla, che finisce per sorvegliare male, oppure per salvare chi non se lo merita. Per essere credibile, il vigilante deve avere due requisiti: essere indipendente e responsabilizzato (accountability). Indipendenza e accountability sono due requisiti ormai classici quando si parla di politica monetaria. È arrivato il momento di applicarle anche al campo della regolamentazione finanziaria. Altrimenti, continueremo a vedere banchieri centrali e vigilanti tutt'altro che al di sopra di ogni dubbio. Cosa dire dei comportamenti della Fed e della Sec prima e durante la crisi finanziaria? Cosa dire di chi doveva sorvegliare Fanny e Freddy, e dei rapporti tra politica, vigilanza e affari? L'elenco potrebbe continuare, e crediamo che non sia affatto chiuso.

Allora occorre migliorare la governance della regolamentazione: ridurre le Authority, e tenerle a distanza di braccio dalla politica e dalla finanza. Ma non basta: la terza parola d'ordine è coordinamento. Per quanto le regole possano essere disegnate al meglio, le scelte di politica della vigilanza devono essere coordinate anche con altre forme della politica economica. Si pensi alla politica monetaria, attraverso il canale della liquidità, o alla politica fiscale, tenendo conto delle conseguenze per i contribuenti dei fallimenti bancari e finanziari. È chiaro che meno sono le Authority, e meglio sono difese dalle ingerenze della politica e della finanza, minori sono i problemi di coordinamento. Se poi la governance è tutt'altro che efficace, i fallimenti di coordinamento fioccano: si pensi ai casi Northern Rock nel Regno Unito, Ikb in Germania. E Fortis.
Dunque, riformare la governance della regolamentazione, negli Stati Uniti come nell'Unione Europea, dovrebbe essere una priorità: eppure nulla si muove. La ragione è semplice: lo statu quo può far molto comodo, in primo battuta ai politici. Il politico ha interesse a mantenere tante Authority, possibilmente non indipendenti e non accountable: sarà più facile accontentare questa o quella lobby (bancaria, finanziaria o assicurativa). Di riflesso, una cattiva governance può essere gradita di volta in volta a parti del sistema bancario o finanziario, ovvero a quei banchieri centrali o a quelle Authority sensibili a mantenere le proprie posizioni di burocrazie potenti e privilegiate. Insomma, il rischio è sottovalutare che la ridotta distanza di braccio tra politica, controlli e finanza può causare disastri. Che possono ripetersi.

28 maggio 2009
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