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«L'inflazione non spaventa più»

di Antonella Olivieri

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Sabato 09 Maggio 2009

Non lo si può annoverare proprio tra i "gufi", ma di certo la visione di Bill Emmott (52 anni), commentatore internazionale ed ex direttore dell'Economist, non è delle più ottimiste. Un esempio? La sua opinione sul possibile ritorno di fiamma dell'inflazione legato ai massicci investimenti pubblici per contrastare la crisi. «Lo ritengo improbabile – osserva –: le Banche centrali e il mercato obbligazionario preverranno il rischio».

In che senso?
Appena ci saranno segnali di ripresa dell'inflazione, le Banche centrali saranno rapidissime a drenare la liquidità e il mercato dei bond esigerà rendimenti più elevati. Questo ci infilerà in una nuova recessione. La buona notizia è che l'inflazione non tornerà a galoppare, la cattiva è che questo sarà l'effetto della recessione.

Prima di pensare alla prossima crisi, c'è speranza di uscire a breve dall'attuale?
La crisi finanziaria era una crisi di liquidità, tant'è che le Banche centrali sono riuscite ad arrestarla. Ma ciò non significa affatto che siamo alla vigilia della ripresa economica. Forse non ci saranno più shock, ma l'economia sta ancora rallentando: caliamo a un tasso inferiore, ma caliamo. La disoccupazione aumenta e il processo di rientro dal debito continuerà a lungo. Può darsi che entro sei mesi ci si stabilizzi, ma resteranno le conseguenze dell'enorme debito pubblico lievitato per sostenere l'economia.

Lei è stato per anni corrispondente da Tokyo. Trova analogie con la crisi giapponese degli anni 90?
La situazione è molto simile, anche se il Giappone aveva il supporto dell'export, mentre ora tutto il mondo sta soffrendo all'unisono. Ma, nonostante una politica fiscale molto attiva, il Giappone non è riuscito a evitare una lunga stagnazione.

Si è sorpreso dell'ingresso dello Stato nelle banche, nei paesi anglosassoni considerati ultraliberisti, e del sostegno a gruppi industriali potenzialmente in bancarotta?
I governi sono stati fin troppo riluttanti a nazionalizzare le banche. Ce n'è bisogno per "punire" azionisti e banchieri, per riformare il sistema e alla fine riprivatizzarlo. Piuttosto sono sorpreso degli aiuti all'industria, che fanno più danni che altro. Perché sussidiare, per esempio, il settore auto e non quello delle costruzioni? Quello che si dà all'uno, si toglie all'altro. Nel Regno Unito si è aperto un dibattito su cosa avrebbe fatto la Thatcher se fosse stata al governo. Io credo che sarebbe intervenuta nel credito, ma non nell'industria.

Gli Stati Uniti comunque si sono mossi tempestivamente, l'Europa è parsa più impacciata. Non c'è un problema di coordinamento delle politiche fiscali?
Un coordinamento sarebbe desiderabile, ma politicamente non è possibile: sono i voti nazionali a determinare le politiche fiscali dei paesi. La politica monetaria invece è unica, ciò non toglie che la Bce sia stata molto lenta ad abbassare i tassi. Ma quello che ho trovato più disturbante è la competizione protezionistica che si è accesa tra i diversi paesi. Nel caso Fiat-Opel, per esempio, la Germania pretende che non si chiudano gli stabilimenti tedeschi. Questo legittima l'Italia a fare altrettanto. Può darsi che il progetto Fiat sfumi se non è possibile gestire un'azienda su base europea.

Ritiene che la crisi cambierà il sistema capitalistico, o che segnerà la fine dell'egemonia americana sulla finanza?
Il Financial Times ha dedicato una serie di articoli al futuro del capitalismo, ma nessuno ha saputo spiegare davvero cosa succederà. Personalmente non penso che il sistema capitalistico cambierà. Quanto al tramonto dell'impero americano, è un tema che torna alla ribalta ogni 10-15 anni, dai tempi della guerra nel Vietnam. Ma sono convinto che la potenza Usa si riprenderà: le previsioni sulla crescita del dopo-crisi vedono in testa proprio gli Stati Uniti tra i Paesi del G-7. Se ci si riferisce invece all'influenza delle banche d'affari sulla finanza mondiale, beh non sarà più come prima. Si era fatto credere che avessero trovato il modo di fare sempre profitti e contenere i rischi, ma hanno peccato d'umiltà.

E il ruolo del mercato? Lo vede ancora centrale in futuro?
Certamente ci sarà maggior regolamentazione, gli investitori saranno meno propensi ai rischi, e i mercati saranno meno attivi nel promuovere la crescita economica.

Alla fine come si uscirà da questa situazione?
Qualcosa succederà, ma non saprei dire né cosa né quando. Dobbiamo essere realisti e ammettere che non siamo in grado di fare previsioni con largo anticipo. Per il momento l'unica buona notizia è che le cose stanno andando male più lentamente.


Sabato 09 Maggio 2009
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