Il gioco di squadra. Quel nome "sonante e luminoso" che Marcello Danieli cercava per la sua azienda di scarpe gli fu suggerito da un amico, chiacchierando. Era il secondo dopoguerra e nella zona pedemontana veneta, con i due conflitti mondiali, si era radicata e diffusa la produzione di calzature militari e da montagna. Danieli, figlio di quella terra, partì dunque da lì.
Era il 1948 e in provincia di Treviso nasceva l'azienda produttrice dei migliori scarponi da montagna. Danieli aveva visto bene, "Diadora" era un nome efficace. Polisemico al punto giusto. In origine significava infatti "di Zara, zaratino", indicava gli abitanti della città dalmata. E agli inizi del Novecento fu reso famoso dal sodalizio sportivo che vinse il bronzo nel canottaggio alle Olimpiadi di Parigi 1924. In greco antico, poi, "dia dora" era traducibile con l'espressione "per mezzo di doni". E forzando un po', anche con un'altra: "condividere doni, onori". Che interpretata come "il senso della squadra nella pratica agonistica" divenne uno dei principi del marchio e del gruppo fondato da Danieli.
Così nei decenni successivi, con nuovi macchinari e nuovi brevetti di produzione americani, Diadora abbracciò lo sport. Non solo scarpe da montagna, ma scarponi da sci, doposci, e calzature sportive con le quali fece il suo ingresso nel tennis, prima, e nel calcio, poi. Il primo testimonial era stato il tennista Guillermo Vilas, ma fu Bjorn Borg a sancire agli occhi di tutti il binomio Diadora - sport. Nel frattempo il logo, dalle iniziali "cinque palle" disegnate nel 1966 (citazione dei cinque cerchi olimpici), era evoluto in una scritta arrotondata, accompagnata dal fregio destinato a diventare il simbolo del marchio.
Nel 1978 l'arrivo nel mondo del calcio: Bettega faceva gol con le Diadora ai piedi. Poi venne il turno della pallavolo, dell'automobilismo, del ciclismo, della scherma. Diadora era ai piedi di Niki Lauda e Ayrton Senna, Francesco Moser e Gianni Bugno. E si imponeva nel calcio, vestendo la nazionale italiana e raccogliendo attorno a sé grandi campioni, da Marco Van Basten a Roberto Baggio. Geni del pallone che hanno scelto di legarsi ai principi dell'azienda trevigiana: collaborazione, lavoro di squadra, condivisione dei successi. "Condividere doni, onori", appunto. E anche gli oneri. Come ricordò il rigore calciato da Baggio nella finale mondiale di "Usa 94".