Un sorpasso al malaugurio. Almeno quello presunto. Il successo di Toyota comincia così. Alla sua base c'è l'industria fondata a fine Ottocento da Sakichi Toyoda, una delle più importanti al mondo. La Toyoda Automatic Loom Works produceva telai, ma erano solo telai tessili. Fu il figlio di Sakichi, Kiichiro, a progettare nel 1930 un piccolo motore a benzina e aprire la nuova divisione auto. Nel 1936 arrivò la prima berlina.
L'anno dopo venne avviata la produzione su vasta scala. La nuova azienda, però, non conservò il patronimico intatto. Si rifece il nome con un piccolo maquillage beneaugurante. La parola Toyoda si scrive con dieci colpi di pennello, cifra infelice in Giappone. Kiichiro pensò bene di portare una modifica: Toyota di colpi ne conta otto, il numero fortunato. Il buon augurio dunque era in quel cambio di lettera, quell'inversione di dentale d/t che era come togliere la "s" alla sfortuna. Nel 1962 dalle linee di produzione uscì la milionesima vettura Toyota, che oggi, anche in un periodo di crisi del settore, è il più grande gruppo automobilistico del mondo. Con 43 impianti sparsi in 26 paesi, oltre ai 15 giapponesi, sforna una vettura ogni cinque secondi. E il modello della Corolla, nata nel 1966, è tra i più venduti del pianeta.
Il logo? Tre cerchi intrecciati che formano una "T" stilizzata e rappresentano "l'unione dei consumatori attraverso l'anima del prodotto". In Giappone dal 1989 si può visitare il museo dell'automobile e di Toyota. Dove è raccontata la storia del gruppo e dove si può capire bene l'idea su cui si fonda la sua filosofia: "Nel mondo l'uomo e l'auto devono poter convivere in armonia". Meglio se sotto buoni auspici.