L'importante è giocare d'anticipo. Qualcuno ci prova col prodotto, qualcuno col processo. Scuole diverse che corrono dietro la stessa palla: quella che può ribaltare il risultato.
La chimica più innovativa punta sul prodotto. Mantiene le produzioni tradizionali ma lentamente diversifica. Così nello stabilimento di un'azienda lombarda, la Oxon e Sipcam, che faceva e fa agrofarmaci può succedere di trovare il motore di una grossa nave che funziona a olio vegetale e produce energia elettrica. O il punto di partenza di una pipeline che serve per pompare biodiesel a una grande compagnia petrolifera. Dallo sforzo per favorire la sintesi delle competenze chimiche e dall'accesso facilitato al mondo agricolo grazie alle proprie produzioni può scaturire la salvezza di un'impresa e soprattutto quello che la società più cerca: energia green, quella che tra qualche anno diventerà energia e basta.
Ma le strade sono infinite, basta ingegnarsi. Se il prodotto funziona, allora può arrivare un'idea che riguarda il processo. A Nord Est hanno sposato la scuola Toyota e con il solito pragmatismo di questa parte dell'Italia hanno scoperto, già ma in fabbrica, non sui manuali, che la lean production può fare lievitare la produttività del 30%. Come è successo nell'azienda di Diego Caron che produce componenti oleodinamiche, poco fuori da Bassano del Grappa. Una volta un caporeparto doveva percorrere quotidianamente 8,7 chilometri per seguire il lavoro, oggi in pratica non si muove. A muoversi però sono i numeri. E fanno impressione. Produttività cresciuta del 30%, come si diceva, fatturato raddoppiato, spazio occupato ridotto al 40%, rotazioni di magazzino migliorate di ben cinque volte.
La parola alle storie che narrano della spinta propulsiva che arriva dall'innovazione a ogni costo per non portare i libri in tribunale o dalla decisione di cambiare l'organizzazione del lavoro credendo in un sistema che in Italia non è la tradizione. Ma può mandare la palla in rete.