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A Trento l'hub italiano della ricerca

di Francesco Gaeta

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7 Gennaio 2010

Inizialmente Simona, del servizio informazioni, risponde con tono disinvolto: «Il treno per Roma partirà da Trento alle 13,10». La prima esitazione arriva al passo successivo: sì, in effetti «è necessario un cambio a Bologna». Al capitolo orario d'arrivo, le parole di Simona seguono ormai binari diversi dal suo pensiero. Chiarisce che «il treno arriverà alle 18,45», ma il tono tradisce che nel suo cervello una domanda sta prendendo forma: chi diavolo c'è dall'altra parte del telefono?

Il "maggiordomo" che piace a Telecom
Simona ha ragione. L'educata voce metallica che ha chiamato il suo call center non è di una donna. È quella di un computer di ultimissima generazione. Gli informatici dell'università di Trento lo chiamano butler assistent, il maggiordomo. «Può interagire con un essere umano. Quasi come un essere umano», sintetizza Giuseppe Riccardi, il creatore di questo attrezzo da Guerre Stellari, al termine dell'esperimento-simulazione. Riccardi è un fan di Spielberg, ma è italianissimo. Ha passato quattordici anni tra i guru dei Bell Labs di New York, da cui sono usciti una schiera di premi Nobel e una raffica di invenzioni, dal transistor al laser, dal telefono cellulare alle celle solari. Un'officina di modernità anche sul piano della governance: food chain lunga, ovvero ricerca senza l'ossessione dell'applicazione industriale; multidisciplinarietà; scouting dei migliori cervelli nel settore.

Ma allora perché, cinque anni fa, Riccardi - uno dei massimi esperti al mondo nell'interazione uomo-macchina - ha deciso di rientrare in Italia, a Trento, dipartimento di Ingegneria e scienza dell'informazione? La risposta traccia una frontiera inaspettata: «Perché qui a Trento ci sono le condizioni per essere tra i migliori al mondo nel settore Ict». Cioè per creare computer in grado di decifrare le emozioni di un essere umano dalle ombreggiature della sua voce, dalla velocità con cui parla, dagli accenti. Un progetto che a Riccardi e al suo team ha già fruttato un accordo quadro dai molti zeri con Telecom. E che contribuisce a spiegare un dato eclatante: i finanziamenti alla ricerca del dipartimento di elettronica e informatica di Trento ammontano a 117mila euro all'anno per professore. Non poi così lontano dalle performance di Stanford (157mila dollari), di Berkeley (141mila dollari) o del mitico Mit (166mila circa) negli stessi comparti.

Una multinazionale locale
«Tra i migliori al mondo» è frase impegnativa. Ma tra i corridoi e i laboratori di Trento, 15mila studenti spalmati in sette facoltà, la si sente pronunciare di frequente, come una sfida, e spesso in inglese. Il fatto è che sul mercato della ricerca, Trento sta diventando un hub internazionale, una multinazionale tascabile, per usare la definizione coniata da Mediobanca per le medie imprese italiane in grado di competere su scala globale. È piccola, ma aperta alle reti lunghe della globalizzazione. Meticcia per posizione e vocazione. Innovativa al punto da guadagnarsi il podio nella classifica stilata a luglio dal ministro Gelmini sulla competitività delle università.
Nell'ateneo scelto nel 2005 da Microsoft per una partnership fifty-fifty relativa al centro di calcolo sul biotech, il 30% di dottorandi è straniero. Vi lavora l'1% dei professori d'Italia ma vi approda il 4,5% delle risorse concesse dalla Ue: i progetti di ricerca finanziati dal VI programma quadro sono stati 64, in quello in corso sono 33. Un record.

Sganciatasi dalla originaria vocazione umanistica, Trento è diventata nel tempo un crocevia internazionale soprattutto nel polo informatica e ingegneria. «Negli ultimi tre anni - spiega Fausto Giunchiglia, già prorettore e direttore del dipartimento di Scienza dell'informazione - hanno scelto di venire qui quattordici esperti di Ict di standing mondiale: 13 sono stranieri». Non è tutto. L'ateneo ha calamitato il 20% dei docenti tornati in Italia con la famosa legge per il rientro dei cervelli. «Cerchiamo i migliori - continua Giunchiglia - dal Mit ad Harvard, dall'India al Giappone. Qui trasferiscono le loro reti di contatti, queste creano partnership per accedere ai finanziamenti internazionali. Così l'università ha altri soldi per fare altra campagna acquisti e allevare nuovi talenti in casa».

Progetti in corso con Intel e Stm
Campioni e vivaio, quasi come il Barcellona di Guardiola. È il modello Trento in due parole. Tra i campioni c'è Lorenzo Pavesi, direttore del laboratorio di nanotecnologie. Nel 2002 ha attirato i fari della comunità scientifica mondiale con un articolo in cui si tracciava la strada per un laser al silicio, più performante ed economico di quelli attuali. Oggi, nel suo laboratorio multietnico (ricercatori dalla Russia e dagli Usa, molti giovanissimi), la sua partita si gioca sulla conduttività del silicio, che in dimensioni micro è in grado di supportare segnali ottici e dunque trasportare enormi quantità di dati. «Con Intel e StMicro stiamo lavorando a connessioni ultraveloci intra-chip», spiega. Si tratta di passare dall'attuale velocità di 20 a quella di 100 giga al secondo. Un balzo in avanti che darebbe ali alla velocità di calcolo. E la scommessa non si ferma qui. «Il silicio nanostrutturato assume proprietà inattese - continua Pavesi -. Per esempio, diventa adesivo rispetto a biomolecole che possiamo usare come sensori nella medicina diagnostica o come sonde per il rilascio di farmaci per alcune terapie». L'industria medica mostra già segnali di interesse. E Pavesi è in partenza per un giro tra sei atenei indiani con cui Trento sta avviando un It park. Altre reti, forse altri giovani talenti in arrivo da team stranieri.

  CONTINUA ...»

7 Gennaio 2010
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