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Kyoto e suo fratello, Copenhagen

di Marco Magrini

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12 febbraio 2009

L'obiettivo, forse un po' criptico, era quello di «stabilizzare la concentrazione di gas-serra nell'atmosfera a un livello capace di prevenire una pericolosa interferenza antropogenica nel sistema climatico». Più semplicemente, il Protocollo di Kyoto del 1997 – primo figlio legittimo del Summit della Terra, convocato a Rio dalle Nazioni Unite nel 1992 – intendeva porre un freno alla crescita smisurata di quei gas, come l'anidride carbonica o il metano, che la civiltà umana vomita giorno dopo giorno, anno dopo anno, nell'atmosfera attraverso un consumo smodato di combustibili fossili.

C'è poco da fare: CO2 e CH4 – le formule di quei due gas – hanno la proprietà di trattenere la radiazione infrarossa della Terra e, quindi, di riscaldare il pianeta proprio come fa una serra. E i 172 Paesi che di dettero la mano al vertice di Rio, concordarono sul primo trattato ambientale della storia (la Dichiarazione di Rio) e gettarono le basi della lotta al riscaldamento climatico, facendo nascere la Convenzione sui cambiamenti climatici (meglio nota con la sigla Unfccc). L'obiettivo era quello di scongiurare il rischio climatico, tenendo conto delle «comuni ma differenziate responsabilità». In altre parole, gli Stati Uniti che emettevano gas-serra su grande scala e da due secoli, erano meno "colpevoli" della Cina.

Furono poi in 184 a firmare il Protocollo a Kyoto, nel 1997, non senza rispensamenti politici e asperità diplomatiche. L'impegno era quello di ridurre le emissioni-serra del 5,2% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2012. E, in questa prima fase, gli obblighi avrebbero riguardato solo i Paesi industrializzati, con un complesso sistema di pesi e di misure: gli Stati Uniti, ad esempio, erano chiamati a ridurre i gas-serra del 7%, la Russia dello zero per cento (nel 1990 non era ancora caduto il Muro e nel frattempo molte fabbriche inquinanti avevano già chiuso i battenti), mentre l'Islanda aveva il permesso di aumentarle del 10%.

A dire il vero, già dopo la firma, tutti prevedono che la gestazione finirà in un aborto naturale. La Russia di Vladimir Putin non lo vuole ratificare e gli Stati Uniti e l'Australia nemmeno. Poi però, l'Unione Europea guidata da Romano Prodi convince Mosca. E il 16 febbraio 2005, Kyoto viene alla luce.

Sono passati quattro anni, da allora. E il povero trattato internazionale è parecchio gracile, e di salute cagionevole. L'America di Bush e Cheney (ma anche quella di Clinton e Gore) rifiuta la ratifica e l'adozione del Protocollo. La situazione climatica, come si prevedeva già nel 1992, è peggiorata. Ma soprattutto, quasi nessuno dei Paesi che avevano fatto la promessa di ridurre le emissioni l'hanno anche mantenuta. Italia inclusa. E, tutt'oggi, c'è ancora chi critica aspramente il sistema "cap and trade" adottato da Kyoto: le aziende che non tagliano le emissioni pagano per comprare i diritti a emettere; quelle che lo fanno, le vendono e ci guadagnano. Peccato che lo stesso modello sia stato adottato dagli Usa per l'anidride solforosa – quella che provoca le piogge acide – e con successo.

Adesso, mamma Unfccc – di fatto il consesso internazionale contro l'effetto-serra – spera di tornare presto incinta. E di riprovarci, partorendo il secondo figlio legittimo del Summit di Rio.
In effetti nel frattempo qualcosa è cambiato, nella genetica del mondo. L'Australia ha ratificato Kyoto dopo che Kevin Rudd è diventato primo ministro con una campagna elettorale basata sul climate change. La Cina, che già investe pesamentemente nelle energie rinnovabili, si dice pronta a fare la sua parte. E, soprattutto, l'amministrazione Obama vuole ribaltare completamente la politica di Bush.

L'appuntamento – che in teoria dovrebbe essere amoroso, ma non lo sarà – è fissato per quest'anno, a Copenhagen, a cavallo fra novembre e dicembre. Sotto i colori dell'Unfccc, quei 186 Paesi del mondo – così diversi e lontani fra loro, eppure condannati a condividere una sola atmosfera – dovranno concepire un nuovo trattato internazionale, affinché emetta i primi vagiti l'1 gennaio 2013. E dovranno anche architettarlo in modo che venga finalmente rispettato.
Insomma, in modo che il fratello del povero Kyoto cresca sano e forte.

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