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A Detroit un salone dell'auto nel segno della crisi

dall'inviato Andrea Malan

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12 GENNAIO 2009

Il Salone dell'Auto più importante d'America si è aperto domenica a Detroit con la prima delle giornate dedicate alla stampa; l'apertura al pubblico è a partire da sabato 17 gennaio. Il Salone arriva alla fine di un anno disastroso per l'industria dell'auto, il peggiore per le vendite di auto dai tempi delle crisi petrolifere degli anni 70; e arriva pochi giorni dopo che l'Amministrazione Bush è stata costretta a salvare due dei costruttori locali - General Motors e Chrysler - con un prestito d'emergenza. Quanto sia seria la situazione, lo ha dimostrato la presentazione di General Motors che ha aperto la prima giornata: al posto delle consuete ballerine e acrobati a presentare i nuovi modelli, ecco un corteo di dipendenti guidato nientemeno che dal Governatore del Michigan, Jennifer Granholm, con tanto di cartello "Siamo qui per restare". In uno Stato che guida da tempo la classifica americana della disoccupazione, e che potrebbe superare presto la soglia del 10%, il fallimento di uno dei costruttori potrebbe essere un colpo decisivo.
Se il 2008 ha visto un crollo delle vendite di auto negli Usa da 16,1 a 13,2 milioni di unità, le previsioni per il 2009 non sono migliori: l'unico è dubbio è di quanto caleranno ancora le vendite, che negli ultimi due mesi del 2008 hanno viaggiato a ritmi annui tra i 10 e gli 11 milioni. In queste condizioni, saranno in grado le case americane di resistere senza dover chiedere altri fondi al contribuente? Gm e Chrysler hanno lanciato messaggi rassicuranti dal Salone: Bob Nardelli, della Chrysler, ha detto che anche con un livello di vendite "tra i 10 e i 12 milioni di unità nel 2009", ovvero un altro forte calo rispetto all'anno scorso, "non avremo bisogno di altri fondi". Rick Wagoner, della General Motors, ha dal canto suo assicurato che i 13,4 miliardi di finanziamenti statali "verranno facilmente restituiti entro i tre anni del piano". Per ora, in realtà, le scadenze sono molto più ravvicinate: il 17 febbraio è previsto il primo "tagliando" con il Governo (che a quel punto sarà guidato da Barack Obama) per verificare l'avanzamento dei negoziati con le varie parti interessate ai due piani di ristrutturazione, mentre entro il 31 marzo i piani definitivi dovranno essere firmati e approvati. Wagoner ha annunciato ieri che i costruttori chiederanno a Barack Obama interventi più decisi per far uscire il settore dalle secche, e ha perfino citato la possibilità di chiedere incentivi fiscali "come quelli adottati negli anni scorsi in Francia o in Italia". Un cambio di rotta importante, ribadito anche da Bob Lutz, il veterano responsabile dello sviluppo dei nuovi prodotti, il quale ha ammesso che "con la benzina a meno di due dollari al barile sarebbe impossibile vendere i nuovi prodotti che stiamo sviluppando".
Se anche il 31 marzo i piani di risanamento verranno approvati, l'orizzonte di medio periodo resta tutt'altro che sereno. Due giorni fa un allarme è arrivato da Charles Millard, responsabile uscente del Fondo pubblico americano di garanzia delle pensioni: "Se dovessero fallire i tre big dell'auto - ha detto - si aprirebbe un buco da 41 miliardi di dollari nelle nostre casse". è anche per questo che, ha scritto un commentatore di un quotidiano locale, sono i politici di Washington il vero convitato di pietra di questa edizione del Salone.
I risultati finanziari dei due big quotati (Gm e Ford) verranno resi noti solo dopo il Salone. Dal punto di vista strategico è però Chrysler, la più piccola delle tre aziende di Detroit, quella che rischia di più: ha visto le vendite crollare del 50% a dicembre e del 30% sull'arco dei 12 mesi, non ha una presenza estera in grado di ammortizzare il declino negli Usa e non ha attività significative da vendere per far cassa. I vertici hanno ribadito qui che i negoziati con General Motors sono ormai chiusi ma hanno manifestato grande apertura a possibili alleanze, sia tecnologiche che con scambi azionari sul tipo Renault-Nissan. Chrysler ha bisogno in tempi brevi di intese per rimpolpare la gamma, soprattutto nei segmenti più economici. Un duro colpo da questo punto di vista è arrivato con il fallimento delle trattative con la cinese Chery, che avrebbe dovuto produrre in Cina vetture del segmento B (quello della Punto) da vendere sia in Europa che negli Usa. Ford, intanto, che non ha per ora avuto bisogno del sostegno statale, si frega le mani: nel quarto trimestre del 2008 ha riguadagnato quote di mercato grazie a una campagna sconti aggressiva ma anche alle disavventure delle rivali - come ammette il suo numero uno Alan Mulally.
Il clima economico ha portato a una maggiore sobrietà delle presentazioni, ma è il peso delle scelte politiche, e soprattutto l'imminente arrivo di un presidente democratico alla Casa Bianca, ad avere un impatto importante sul tipo di auto presentate in questi giorni. La vetrina di Detroit è affollatissima di vetture ecologiche e "politicamente corrette": prototipi elettrici della Chrysler, ibridi Ford, ibridi di seconda generazione per la Gm, conditi da vetture ecologiche di quasi tutte le case straniere, a partire dalla nuova versione dell'unico ibrido che finora abbia avuto un vero successo di mercato - la Toyota Prius.
Sono davvero prodotti adatti ai tempi? Sei mesi fa, con il petrolio a 150 dollari il barile, sembrava che i gradi SUV fossero destinati a una precoce estinzione, confermata dai dati di vendita del secondo semestre. Ma adesso che la benzina qui è ridiscesa da quattro dollari al gallone a meno di due, siamo sicuri che gli americani non torneranno al vecchio amore per i mastodonti della strada? E che i meravigliosi concentrati di tecnologia in mostra qui resteranno nelle concessionarie, se non sui tavoli dei progettisti? I manager sono consci di questo rischio. Lo stesso Bob Lutz, per esempio, ammette che "con la benzina a 1 dollaro e mezzo al gallone, nessuno comprerà questi nuovi prodotti ecologici, tecnologicamente avanzati ma necessariamente costosi". Il paradosso è che poi Lutz arriva a ipotizzare una tassa sulla benzina (all'europea) o una qualche forma di incentivo per indurre i consumatori a comprare ibrido o elettrico; un cambio di rotta altrettanto sorprendente dell'improvvisa conversione all'ecologia.

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