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Eolico off-shore, viaggio nella centrale di Copenhagen

di Gigi Donelli

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18 dicembre 2009

Per l'ambientalista scettico Biorn Lomborg, Middlegrunden è la prova vivente della non-santa allenza tra i grandi gruppi industriali e i movimenti ecologisti. Per l'ing. Hans Sorensen, che amministra le 8,535 quote in mano ai piccoli azionisti nel consorzio che controlla la centrale, è invece la dimostrazione di un modello eco-liberista, di cui vorrebbe che il suo paese, la Danimarca, fosse il punto riferimento non solo per l'Europa. Costruita a cavallo del nuovo secolo lungo il braccio di mare che collega l'Atlantico al Baltico, la centrale eolica di Middlegrunden è un arco di circonferenza segnato da venti pale eoliche alte 64 metri e distanti 180 l'una dall'altra. Su oltre 3km di sviluppo, disegna una linea arcuata che rappresenta la continuazione ideale - sul basso fondale dell'Oresund - delle mura medievali di Copenhagen.

Un sibilo mesto

Vista dalla barca di servizio della compagnia che la gestisce, appare come una flotta di velieri pronti ad attaccare l'antico rivale svedese lungo la costa della Scania. Venti vascelli, venti trifogli eolici da 70metri di diametro che producono 2Mw ciascuno e scaricano sull'acqua un sibilo mesto. Insieme, assicurano il 3% del fabbisogno elettrico della capitale cui sono collegate da un solo cavo sottomarino lungo poco più di un chilometro. Per secoli gli antenati di questi eco-danesi hanno usato il mare come una pattumiera e così, quando negli anni '90 la centrale è stata progettata, gli ingegneri hanno potuto sfruttare la spalla affiorante di una lunga trincea sottomarina.

Prima al mondo off-shore
Mentre a poche miglia di distanza veniva concepito il primo progetto di collegamento ferroviario permanente tra Danimarca e Svezia attraverso il sistema di tunnel, isole artificiali e ponti dell'Oresundbroen, la centrale sotto casa di Copenhagen diventava nel marzo del 2001 la più grande centrale off-shore del mondo, diretta erede dell'impianto sperimentale di Vindeby (1991) e a sua volta prototipo di altri giganti tra cui basterà citare la Horns Rev 2 che con le sue 91 turbine produce quanto basta per i consumi elettrici di 200mila abitazioni.

Come un bene comunitario
L'ing Sorensen s'infiamma anche sotto il vento sferzante mentre racconta la continuità culturale tra questi giganti in fibra di carbonio e i vecchi mulini che per secoli hanno sollevato l'acqua dentro e fuori dai canali. "Per noi danesi si tratta di un percorso di continuità con il nostro passato, e poi ci guadagnamo pure". Il riferimento alla storia vale anche per il modello di gestione: "la proprietà condivisa – spiega Sorensen – è insieme un impegno sociale e l'opportunità di condividere un bene comunitario". All'associazione degli insegnanti di Copenhagen lo considerano un vero e porprio modello educativo e anche per questo ha fatto in modo di assicurarsi la quota più cospicua tra quelle dei piccoli azionsiti. "C'è anche da dire che l'investimento paga": grazie al sostegno che il governo danese assicura alla sua industria energetica di riferimento le quote passano raramente di mano.

Centomila e continuano ad aumentare
La Danimarca, un insieme di isole e penisole proiettate verso l'Atlantico, è leader dell'energia eolica e primeggia nella produzione pro-capite. Delle 100mila turbine installate nel mondo circa un terzo sono danesi e le società del settore sono ormai solidamente installate nei grandi paesi asiatici che rappresentano oggi – anche grazie ai meccanismi di finanziamento alla riconversione energetica fissati a Kyoto - il maggiori mercato di espansione. Dei 120mila Mw di eolico installati nel 2009, un terzo sono firmati proprio dalla danese Vestas. Comunque si concluda il vertice politico, i giorni di Copenhagen segnano anche una chiamata per un settore che esplode proprio verso a oriente. Dieci anni di operatività della centrale sottocasa di Copenahgen mandano un messaggio all'industria: Danimarca, Germania e Spagna non sono più i leader solitari del settore, gli Stati Uniti e la Cina ora rinnovano la sfida anche in questo ambito. Per Copenhagen, intanto, vento vuol dire più che mai energia e occupazione. Oggi è il 20% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Nel 2020 sarà almeno il 40.

18 dicembre 2009
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