«Investimenti sul clima in Italia, solo per coraggiosi». Il sito delle Nazioni Unite dedicato alla convenzione sul clima (Unfccc), titola così un breve articolo dedicato a una ricerca della Deutsche Bank, liberamente scaricabile qui, che ha scandagliato le politiche ambientali di 109 paesi. Sotto la foto del presidente del Consiglio italiano l'avvertimento: «Se state cercando opportunità di investimento collegate ai cambiamenti climatici, non mettete l'Italia in cima alla vostra lista», con l'aggiunta «non è assolutamente chiaro che tipo di legislazione il suo primo ministro Silvio Berlusconi intenda adottare sul clima».
La Deutsche Bank ha esaminato le politiche sul clima di 109 paesi per determinare il livello di rischio per gli investitori del settore. Nella tabella riassuntiva dello studio, solo l'Italia è classificata al livello 3, quello che indica il coefficiente di rischio maggiore. Usa e Regno Unito, sono nel gruppo a coefficiente 2, ovvero a rischio moderato, gruppo in cui compaiono anche Russia, Canada e India. Tra i paesi dove gli investimenti nelle energie rinnovabili sono più sicuri, quelli di livello 1, compaiono Francia, Germania, ma anche Cina e Brasile.
Lo studio, commissionato alla Dbcca della Columbia University, ricorda che in base alla direttiva europea sulla riduzione di CO2 l'Italia entro il 2020 dovrà portare la percentuale di energie rinnovabili sui consumi finali di energia al 17% del totale. Nello scegliere la quota, la Commissione europea ha considerato il 5,2% di energie rinnovabili che componevano i consumi finali di energia in Italia nel 2005. Secondo Bruxelles l'Italia è molto lontana dal raggiungimento di questo obiettivo a causa delle «ambiguità» nelle politiche ambientali, le lungaggini burocratiche per le autorizzazioni «a livello locale» e le «barriere finanziarie» come gli alti costi di connessione alla rete. «La maggioranza dei 61 procedimenti legali avviati dalla commissione europea dal 2004 ad aprile 2009 erano contro l'Italia per i ritardi nell'implementazione degli obblighi sulle rinnovabili», spiega lo studio.