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Contro il collasso energetico il Cnr guarda alla fusione nucleare

di Luca Salvioli

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28 agosto 2009

Il collasso energetico mondiale, momento in cui le risorse primarie disponibili, alla luce delle tecnologie attuali, non saranno più in grado di far fronte alla domanda, è previsto per il 2065. Il modello elaborato dal Cnr e pubblicato nel volume «Energia e trasporti, stato attuale e prospettive future della ricerca scientifica» non lascia scampo. A meno che non si guardi oltre. E cioè al nucleare, alle fonti rinnovabili, a nuovi utilizzi dei combustibili fossili. Ma soprattutto - e subito - al risparmio energetico. «La ricerca deve saper fronteggiare due sfide combinate - spiega Claudio Bertoli, direttore del Dipartimento Energia e Trasporti del Cnr - e cioè assicurare energia sufficiente a basso costo e ridurre l'impatto negativo sull'ambiente nella produzione, il trasporto e la distribuzione di energia». Per rimandare quel punto critico che potrà essere evitato soltanto con una nuova sorgente di energia primaria.

Ovvero?

La fusione nucleare al momento è la promessa maggiore. Il progetto Iter, che prevede la realizzazione del primo reattore in Francia, nell'area di Caradache, è la più grande intesa scientifica internazionale attualmente in campo. Sono convinto che si arriverà ad una centrale operativa. Certo, si parla del 2020 o dopo. Tra l'altro, la parte di ricerca sui materiali è comune a un altro fronte importante, quello delle centrali di quarta generazione. Lì però, ci sarà da aspettare ancora di più.

Parliamo del presente. Cosa ne pensa del ritorno al nucleare dell'Italia?
E' molto importante. Ci farà tornare in uno strategico filone industiale e di ricerca. Ci renderà più autonomi dagli altri Paesi, ma non risolverà del tutto il problema. Continueremo a importare.

Quali fonti sostituiranno i combustibili fossili?

Innanzitutto va detto che i combustibili fossili rimarranno ancora con noi per molto tempo. In particolare il carbone, che anche nel 2100 - secondo i nostri modelli - darà un apporto significativo. Bisognerà proseguire nell'utilizzo e nella ricerca di tecnologie che lo rendano più pulito e per la cattura e il sequestro sotterraneo del carbonio legato alla sua combustione.

E' realistica la teoria del «peak oil», momento di picco del petrolio?
Tutti i modelli prevedono che il consumo di idrocarburi raggiungerà un massimo per poi decrescere. Si differenziano sulla definizione del momento in cui questo accadrà. Dipende molto dalla volontà politica e dagli interventi che verranno messi in campo. Se tutto continuasse come oggi, il peak oil potrebbe essere raggiunto nel 2030.

E poi? Al di là del nucleare, le energie rinnovabili che ruolo possono giocare?
Crediamo che nel 2050 possano rappresentare all'incirca il 15% della domanda di potenza complessiva. Il che corrisponde a un quarto della produzione energetica complessiva. Persistono però una serie di problemi, come la discontinuità dell'apporto energetico, i costi elevati e l'utilizzo del territorio. Fenomeno, quest'ultimo, particolarmente vero per le biomasse. Non devono sottrarre territorio alle coltivazioni agricole. L'utilizzo di biomasse di nuova generazione, come quelle algali, accresciute con la CO2 di scarto delle centrali, mi sembra una soluzione promettente.

Nel nostro Paese si registra una forte crescita di eolico e fotovoltaico. Può continuare?
Le caratteristiche del nostro territorio non permettono la realizzazione di grosse centrali. Credo sia meglio puntare sulla microgenerazione, ovvero l'applicazione del fotovoltaico sulle case e i capannoni industriali. Rimanendo su questa scala, è molto promettente anche il mini-eolico.

28 agosto 2009
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