«Nessun altro settore industriale è altrettanto concorde, ambizioso e determinato». Una dichiarazione forte, che potrebbe perfino suonare un po' azzardata. Soprattutto se viene da un'industria che contribuisce con il 3% delle emissioni globali di gas-serra: l'aviazione civile.
«Abbiamo predisposto una strategia con chiari obiettivi da raggiungere, spesso più severi di quelli che i legislatori dei singoli Paesi si preparano a gestire», ha detto due giorni fa Giovanni Bisignani, presidente e amministratore della Iata, il "club" delle aviolinee mondiali, al termine di un incontro col segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon.
Gli obiettivi della Iata sono tre. Migliorare l'efficienza energetica degli aeroplani dell'1,5% all'anno, da qui al 2020. Toccare il massimo delle emissioni entro il 2020, dopodiché farle scendere (senza sacrificare un business che si profila in crescita. Entro il 2050, dimezzare le emissioni rispetto al 2005. «Il nostro obiettivo per il vertice di Copenhagen – spiega Bisignani – è ottenere un quadro normativo chiaro», nonostante l'ulteriore insuccesso dei colloqui preparatori che si sono tenuti la settimana scorsa a Bangkok.
Perdipiù, Bisignani – già numero uno di Alitalia – chiede che le emissioni dell'aviazione civile vengano calcolate su base mondiale e non per Paesi. Quasi a testimoniare la volontà di voler lavare i panni sporchi in casa propria.
Le cronache riportano che Ban Ki-Moon – angustiato dall'eventualità che Copenhagen finisca con un buco nell'acqua – si è complimentato con la Iata. Perché l'aviazione, come si conviene, vola alto.