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Un anno di fondi all'ecobusiness

di Micaela Cappellini

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6 aprile 2010


Fra contributi delle istituzioni internazionali e fondi dei privati, la cifra in campo supera i 40 miliardi. Interamente destinati alle politiche e alle tecnologie per la difesa dell'ambiente nei paesi emergenti. È il bilancio con cui hanno appena festeggiato il loro primo anno di vita i Cif (Climate investment funds): i due fondi per gli investimenti green istituiti dalle cinque principali banche per lo sviluppo - africana, asiatica, interamericana, Bers e Banca mondiale – che possono contare sulle donazioni di 13 paesi industrializzati, tra cui manca l'Italia.
Dei Cif poco si parla, ma nel primo anno di vita il board che li gestisce ha avviato nove progetti, per un totale di 3,2 miliardi di dollari in fondi diretti, più altri 27 in contributi dei privati coinvolti. In via di attivazione ce ne sono altri sei, per i quali il budget è già stato fissato: in Cile, in Colombia, in Indonesia, in Kazakhstan, in Nigeria e in Ucraina. La formula è quella tipica delle banche per lo sviluppo: per aggiudicarsi i fondi, serve una partnership fra pubblico e privato. Ma soprattutto, serve un progetto che dimostri di ridurre il tasso di inquinamento e che, pur piccolo alla nascita, si presti a un'implementazione su larga scala.
I Cif sono due, uno per il finanziamento delle tecnologie a basso impatto ambientale, e l'altro per la protezione delle aree verdi, ma quasi tutti i fondi finora concessi sono andati sotto il primo cappello. Per i paesi emergenti - si entro il 2030 saranno responsabili del 30% delle emissioni di gas serra – questi fondi sono un'occasione di sviluppo sostenibile. Per le aziende, vista la formula pubblico-privato, sono un'opportunità di business che si apre nei mercati di domani.
I settori coinvolti dai finanziamenti dei Cif sono la produzione e la distribuzione di energia, i trasporti, l'efficienza energetica degli edifici, delle fabbriche e delle coltivazioni. Ad oggi, il progetto più costoso approvato dal board è quello del Messico, che supera nel complesso i sei miliardi di dollari. Il quadro d'insieme è quello fissato dal piano 2007-2012 del presidente Felipe Calderón: ridurre del 10% all'anno il consumo di elettricità, e del 20% all'anno i gas di scarico inquinanti. I fondi Cif serviranno alla creazione di una rete di bus e di treni ad alta efficienza per decongestionare il traffico delle città, ma anche ad aprire presso le banche locali una linea di credito per chi investe nello sfruttamento dell'energia rinnovabile.
Nelle Filippine, oltre al potenziamento dei trasporti pubblici urbani nelle città di Cebu e Manila, i fondi Cif sostengono l'industria del fotovoltaico e dell'eolico, che sorprendentemente ha già raggiunto un discreto livello di sviluppo nel paese. Qui le rinnovabili rappresentano infatti il 43% dell'energia utilizzata, e il governo si è dato l'obiettivo di diventare nei prossimi anni il primo produttore al mondo da fonti geotermiche, il primo del Sudest asiatico per l'eolico e il più importante hub di tutta l'area Asean per la produzione di celle fotovoltaiche.
In Sudafrica, i fondi verdi si concentrano su tre obiettivi: il passaggio di mezzo milione di abitazioni, entro cinque anni, al riscaldamento dell'acqua con i pannelli solari, più la realizzazione di un impianto solare termodinamico da 100 Megawatt e di un altro eolico della stessa capacità, entrambi appannaggio della Eskom, la public utility per l'elettricità del paese. In Turchia - la prima a ricevere l'ok dal board dei Cif – il supporto finanziario si declina sotto forma di linee di credito erogate dalle principali banche locali ai privati che si cimentano nelle tecnologie per lo sviluppo e la distribuzione delle energie rinnovabili. Fondi totali a disposizione: oltre due miliardi di dollari. I Climate investment funds hanno anche attivato un progetto transnazionale, che va dal Nordafrica al Medio Oriente e coinvolge Algeria, Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia. Cinque paesi insieme per sviluppare la tecnologia del solare termodinamico a concentrazione: dodici impianti da realizzare entro cinque anni. Il sogno di Rubbia.
micaela.cappellini@ilsole24ore.com

6 aprile 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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