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Conferenza di Copenhagen

Il petrolio ha 150 anni e qualche ruga

di Marco Magrini

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27 agosto 2009

Il primo barile di petrolio fu una vasca da bagno. È l'imbrunire del 27 agosto, un sabato. Il colonnello Edwin Drake, devoto della chiesa episcopale, si prepara a fermare per la festa domenicale il marchingegno a vapore che ha inventato e costruito, in una piccola valle degli Appalachi, col proposito di bucare in profondità il terreno. Dopo tre settimane, per colpa di uno spesso strato di roccia, è arrivato solo a 21 metri. Ci sarebbe da disperarsi. Ma non il colonnello Drake, un avventuriero squattrinato con il gusto della sfida che, per quanto deriso da tutti, è sicuro di trovare il petrolio a 50 o 60 metri di profondità. Invece, ne bastavano 21.

Quella sera del 1859, dal dorso lapideo del pianeta Terra, sgorga il primo barile di petrolio della storia. Drake, preso alla sprovvista, non può far altro che riempirci una vecchia vasca da bagno arrugginita. Di lì a qualche settimana, intorno a Titusville, in Pennsylvania, scoppia la corsa all'oro nero, altrettanto drammatica e spietata di quella all'oro giallo. Ma soprattutto, quel primo barile inaugura l'era del petrolio: l'epoca in cui siamo nati e in cui stiamo vivendo.

L'abbondanza di idrocarburi a basso costo ha regalato al mondo plastiche e fertilizzanti, medicine e solventi, cere e lubrificanti. Ma anche l'energia motrice, l'elettricità, la motorizzazione di massa. E quindi la modernità.

Oggi, esattamente 150 anni dopo la vasca da bagno del colonnello Drake, il mondo produce (e consuma) più di 83 milioni di barili di petrolio al giorno. Ovvero 981 barili al secondo. Secondo la convenzione, in un barile ci stanno 159 litri. Così, ogni secondo che passa, 156mila litri di petrolio vanno a far girare l'economia del mondo. E se ne vanno per sempre.

Nell'arco di uno o due secoli l'era del petrolio potrebbe finire. Come l'età della pietra non è finita per mancanza di pietre, non finirà per totale mancanza di petrolio. Ma finirà.

La scintilla innescata dal colonnello Drake accese un fuoco che si rivelò di paglia. Sei anni dopo il primo barile, viene trovato altro greggio a pochi chilometri da Titusville. Nel giugno del 1865 nasce Pithole, la prima città petrolifera. A settembre, ospita già 15mila persone con negozi, banche, e alberghi. Il gennaio successivo, la produzione degli innumerevoli pozzi scavati comincia a declinare. Due anni dopo, Pithole è una città fantasma. Dalle viscere della Pennsylvania escono pur sempre 10mila barili il giorno, il 95% della produzione mondiale di petrolio. Peccato che Henry Ford non avesse ancora lanciato la produzione di massa della sua Model T e che l'offerta di greggio non avesse sufficiente domanda: dopo l'iniziale fervore, il prezzo del barile precipita a dieci centesimi.

Fu il primo caso di boom and bust, come dicono gli addetti ai lavori: l'inevitabile tracollo dopo una fase di entusiasmo. «E altri ce ne saranno», commenta Raymond Carbone, uno dei trader più navigati del New York Mercantile Exchange, il tempio dei future sul West Texas Intermediate, dove si fa il prezzo di riferimento per il petrolio di tutto il mondo.

Carbone si aspetta un'altra, imminente fase di risalita dei prezzi. Dopo il record di 147 dollari nel luglio 2008, i prezzi sono scesi sotto i 40 e poi risaliti a quota 70. «Sul mercato – assicura Carbone – ci sono già contratti call in scadenza l'anno prossimo a 150 dollari il barile».

«L'offerta dei Paesi non Opec – dice il trader americano di origine siciliana – sta declinando, con l'eccezione dell'Angola. Le scoperte di nuovi giacimenti vanno a rilento. Sul fronte geopolitico, è difficile che lo scenario migliori: anzi, il governo americano ha appena detto che la disponibilità a trattare con l'Iran non sarà eterna. Russia e Cina possono solo accentuare le tensioni. Chavez non ha nessuna intenzione di rinunciare al petrolio come arma politica. Se aggiungiamo che, in questa fase di bust, gli investimenti sono diminuiti e che la capacità delle raffinerie è allo stremo, non vedo come il prezzo del petrolio possa restare ai livelli attuali».
Prepariamoci a un altro boom.

Anche fra i teorici del «picco del petrolio» – il momento in cui la produzione di greggio toccherà il suo punto massimo per poi discendere inesorabilmente – non c'è consenso sulla data. Qualcuno dice che c'è già stato, qualcun altro che sta per arrivare. Ma anche fra gli osservatori più prudenti, come l'Agenzia internazionale dell'energia o alcune major petrolifere, c'è chi ammette che fra 20 o 30 anni arriverà. Non la fine dell'oro nero. Ma l'inizio della fase discendente. L'inizio della fine dell'era del petrolio.

Oltre ai limiti della geologia, oltre alle imposizioni della geopolitica, oltre ai sotto-investimenti dell'economia, ci sono anche le raccomandazioni della chimica. La combustione degli idrocarburi rilascia anidride carbonica che, in maniera indisputabile, trattiene parte della radiazione infrarossa del pianeta, riscaldandone l'atmosfera. È il cosiddetto effetto-serra. Anche se a dicembre, in occasione del summit planetario di Copenhagen, il mondo non dovesse mettersi d'accordo sul controllo delle emissioni, l'accorato appello della comunità scientifica resta: entro metà secolo, il mondo dovrà dimezzare le emissioni. E quindi i consumi di combustibili fossili.

  CONTINUA ...»

27 agosto 2009
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