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Rubin e Summers: ora aiuti all'economia

dal nostro inviato Marco Valsania

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19 novembre 2008


WASHINGTON - All'appello hanno risposto in cento, tutti amministratori delegati di aziende globali, da Lloyd Blankfein di Goldman Sachs a Jeff Bewkes di Time Warner, da Carlos Ghosn di Nissan e Renault a Eric Schmidt di Google e Yang Yuanqing di Lenovo. Tutti preoccupati per la crisi economica che aspetta al varco la prossima amministrazione di Barack Obama. Si sono dati appuntamento al Four Season Hotel della capitale per il Ceo Council organizzato dal Wall Street Journal: un'assemblea di chief executive per discutere di bufere finanziarie, energia, riforma sanitaria. Ma soprattutto per ascoltare una squadra di influenti consiglieri del presidente eletto. E gli ex ministri del Tesoro Larry Summers e Robert Rubin hanno mostrato l'arma anti-crisi pronta a essere sfoderata: un super-stimolo fiscale, forse da 700 miliardi di dollari, per sostenere nei prossimi anni l'economia americana.
Il messaggio ha trovato eco tra i partecipanti. William Green, Ceo e chairman del colosso della consulenza Accenture, riassume il clima tra i top executive come «un misto di speranze e cautela». Stimoli e salvataggi, dice, «preferiremmo che non servissero ma sono necessari». E aggiunge che «l'importante è non perdere di vista il messaggio di fondo: libero mercato, libero commercio e competitività». Questa, dice, è la sfida davanti alle aziende, che significa «strategie giudiziose», dalla fine della retorica protezionistica al miglioramento dell'istruzione, da riforme sanitarie capaci di aumentare i risultati e non i costi a adeguati regimi fiscali.
Al termine Bewkes e Roger Ferguson di Tiaa-Cref hanno riassunto l'agenda economica dei Ceo in cinque punti: un rapido stimolo fiscale quantomeno superiore a 300 miliardi, con enfasi sulla spesa in infrastrutture; l'uso del fondo di salvataggio del Tesoro per comprare asset illiquidi e non solo ricapitalizzare le banche; la scelta al più presto della squadra economica di Obama e delle sue priorità; una riforma delle tasse che consideri aumenti sulla benzina e riduzioni delle aliquote aziendali; e una speciale commissione che per un anno studi nuove regolamentazioni finanziarie.
Altre raccomandazioni, presentate da Paul Otellini di Intel, Ghosn e Schmidt, sono giunte sulla politica energetica e ambientale: inviti a diversificare le fonti, sviluppare nuove tecnologie e combattere l'effetto serra, facendo sì che le auto elettriche siano il 10% del totale entro il 2020 e il 50% entro il 2030. Ghosn, in un'intervista al Wall Street Journal, ha anche sostenuto l'idea americana di prestiti agevolati all'auto per produrre veicoli più efficienti, invitando Europa e Giappone a fare altrettanto.
Un sondaggio tra i Ceo ha inoltre promosso la gestione di Ben Bernanke alla Federal Reserve con un voto di "B" e ha trovato che i compensi dei vertici aziendali non sono esagerati. Blankfein di Goldman ha tuttavia ribadito che i top executive della banca quest'anno rinunceranno ai bonus.
Summers, tra i finalisti per la poltrona di segretario al Tesoro dopo aver già ricoperto l'incarico alla fine della presidenza di Bill Clinton, ha definito lo stimolo necessario «veloce, sostanziale e sostenuto nel tempo», facendo balenare una cifra tra i 500 e i 700 miliardi per farsi sentire su un'economia da 14mila miliardi e assicurare effetti per due o tre anni.
La polemica più dura Summers e Rubin l'hanno avuta con Henry Paulson, il ministro del Tesoro di George W. Bush, sul fronte delle tasse. Alla preoccupazione di Paulson, espressa davanti ai Ceo, su futuri incrementi delle imposte, hanno risposto che la priorità ora è il sostegno della domanda a colpi di incentivi fiscali mirati ai ceti medi, non riduzioni generalizzate. Il dissenso ha toccato le sfide di lungo periodo per la Corporate America: Paulson ha detto che le tendenze globali a ridurre l'imposizione sulle imprese devono spingere gli Stati Uniti a fare altrettanto. Rubin e Summers hanno concordato che occorre evitare tasse troppo elevate ma hanno ribattuto che la competitività statunitense dipende anzitutto da interventi nell'istruzione e da riforme sanitarie.

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