Finché le danze continuano, noi continueremo a ballare, aveva detto improvvidamente l'amministratore delegato di Citigroup, Chuck Prince, subito prima dello scoppio della crisi finanziaria nell'estate 2007. Il Fondo monetario, tradizionale finanziatore dei Paesi in difficoltà, aveva saltato gli ultimi giri proprio perché di crisi non ce n'erano. Ora è pronto a tornare in pista, anche se c'è qualche dubbio che possa occupare nuovamente il centro della scena, come faceva nei decenni passati.
Nel giro di pochi giorni, si sono rivolte all'Fmi Ungheria e Ucraina, e sta per farlo l'Islanda. La lista dei Paesi che potrebbero ricorrere ai finanziamenti dell'istituzione di Washington è lunga, dal Pakistan all'Indonesia alla Turchia, perenne cliente del Fondo, ad alcune economie dell'America centrale. Per bocca del suo direttore, Dominique Strauss-Kahn, l'Fmi si è già dichiarato pronto a intervenire, se necessario utilizzando uno sportello di emergenza varato dopo la crisi messicana del 1995. Inoltre, proprio perché in questi anni ha ricevuto solo rimborsi e non effettuato prestiti, se non di piccola entità, l'istituzione ha a disposizione 200 miliardi di dollari, come ha detto nei giorni scorsi a Washington lo stesso Strauss-Kahn. La ripresa dell'attività di prestito, fra l'altro, farà bene alle casse del Fondo che, come una banca, vive degli interessi sugli impieghi e negli ultimi anni ne ha ricevuti ben pochi, aprendo un buco considerevole nei propri conti.
Già dai primi episodi è emerso tuttavia che i Paesi che ne hanno bisogno - per la stessa ragione per cui i grandi debitori del recente passato, dal Brasile all'Argentina all'Indonesia, hanno voluto rimborsare anticipatamente l'Fmi, e cioè per il timore di interferenze nelle politica economica - sono apparsi riluttanti a rivolgersi al Fondo in prima battuta. L'Islanda ha bussato addirittura alla Russia, chiedendo 4 miliardi di dollari, mentre l'Ungheria ha avuto 5 miliardi di euro dalla Banca centrale europea, nell'insolito ruolo di finanziatore anti-crisi fuori da Eurolandia. Il Fondo è consapevole di questo atteggiamento dei potenziali clienti, tanto che Strauss-Kahn ha rimarcato che la condizionalità dei prestiti d'emergenza è più snella rispetto a quelli tradizionali, anche se, ha osservato in un'intervista al Financial Times, «dare i soldi senza le politiche giuste è uno spreco». Nei Paesi emergenti, comunque, la crisi è destinata a restituire all'Fmi il compito tradizionale di finanziatore delle economie in difficoltà, che si è assunto fin dagli anni 80.
La vera partita della crisi finanziaria globale, però, si gioca stavolta sui mercati dei grandi Paesi industriali e qui finora il Fondo monetario è stato largamente marginalizzato. La settimana scorsa a Washington, il comitato dei ministri che ne stabilisce le linee guida ha assegnato all'istituzione guidata da Strauss-Kahn il ruolo di «trarre le necessarie lezioni di politica economica dalla crisi in corso e indicare le raccomandazioni per ristabilire la fiducia e la stabilità». Non è ovvio tuttavia come i compiti del Fondo si intreccino con quelli del Financial Stability Forum, che riunisce le autorità dei principali Paesi industrializzati e che è al lavoro da tempo sugli stessi temi. I dubbi sulla centralità del Fondo sono emersi a Washington anche con la convocazione, subito dopo il comitato ministeriale dell'Fmi, di una riunione del G-20, che dovrebbe assolvere una funzione analoga, di mettere assieme Paesi avanzati ed economie emergenti.
Nelle intenzioni dei suoi proponenti, tra cui il primo ministro inglese Gordon Brown, la "nuova Bretton Woods", che dovrebbe esser convocata per rifondare il sistema che fra l'altro, oltre sessant'anni fa, diede vita al Fondo monetario, ridarebbe centralità all'Fmi, indirizzandone maggiormente l'attenzione, ancor più di quanto abbia fatto negli ultimi anni, sulle relazioni fra economia e finanza. Un ruolo per il quale il Fondo non è necessariamente ben equipaggiato in termini di risorse umane, anche se, dopo il crollo di molte istituzioni di Wall Street, non dovrebbe esser troppo difficile ora reclutare esperti di mercati finanziari. «Le parole Bretton Woods 2 mi piacciono, ma deve esserci qualcosa dietro le parole», ha detto ancora Strauss-Kahn. Più che il destino del Fondo, c'è in ballo la stabilità futura del sistema finanziario internazionale.