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Lobby e veti incrociati,
i retroscena della bancarotta

di Mario Margiocco

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11 settembre 2009

«Siamo sempre arrivati tardi». Henry Paulson, ultimo ministro del Tesoro di George W. Bush, ha avuto un ruolo centrale nel decidere la strategia e le mosse per il salvataggio di Wall Street e dell'intero sistema finanziario. Obama ha continuato sulla stessa linea. C'è quindi attesa per le memorie di Paulson, in uscita a gennaio, e per come racconterà la decisione più controversa: aver lasciato fallire il 14 settembre 2008 la banca d'affari Lehman Brothers.

Non fu solo il più grosso fallimento della storia americana. Fu una gelata sui mercati mondiali. Fu l'avvio immediato, lunedì 15, di una fuga in massa dai 3.600 miliardi del mercato del credito a breve, un tonfo di 500 punti del Dow Jones, un crollo da 2.850 miliardi nelle Borse di tutto il mondo (6% della capitalizzazione complessiva), e il segnale che la crisi era esplosa in tutta la sua virulenza.

Per Paulson «tardi» significa tardi nella comprensione di quanto si stava preparando, soprattutto nella primavera ed estate 2008. La decisione invece di lasciar fallire Lehman fu piuttosto rapida. E resta a un anno la più grave, e misteriosa. Per almeno tre motivi. Le conseguenze micidiali e costosissime: non si lascia fallire una banca d'affari più che secolare, con interessi globali, controparte di clienti mondiali. Il precedente della più piccola Bear Sterns, salvata a marzo. E il caso Aig.

Paulson, Ben Bernanke della Fed e Tim Geithner allora alla Fed di New York e oggi al Tesoro, decisero di far fallire Lehman dopo due tentativi di trovare un compratore. La versione di Paulson e Bernanke è che c'era impotenza di fronte a mercati impazziti e non c'era autorità sufficiente a mettere insieme la cifra necessaria. Che però fu trovata esattamente un giorno e mezzo dopo, il 16 settembre, per salvare il gigante assicurativo Aig, con la Fed che creava una credit facility da 85 miliardi di dollari portata in seguito a poco meno di 200, e nazionalizzava di fatto Aig.

Da allora sono state fatte varie ricostruzioni, che mettono in luce in genere tre elementi: Tesoro e Fed, cioè Paulson, Bernanke e Geithner, lasciarono sempre aperta l'ipotesi fallimento; cercarono un compratore; quando venerdì sera Aig si fece avanti per la prima volta preannunciando di avere bisogno di almeno 40 miliardi, il destino di Lehman fu segnato. Salvare Aig e mollare Lehman.

Aig, affondata dalla sua piccola unità londinese Aig Financial products che vendeva Cds, cioè assicurazioni su titoli mobiliari e varie operazioni di mercato, doveva far fronte a troppi impegni con troppi partner. E doveva tra l'altro molti miliardi a Goldman Sachs, che monitorò con estrema attenzione la trattativa, come alcune inchieste giornalistiche hanno documentato. Era impossibile salvare sia Lehman che Aig? Visto che Washington ha messo sul tavolo, impegnati, 13 mila miliardi di dollari contro la crisi, avrebbero 200-300 miliardi in più fatto una grande differenza? Per ora nessuno ha risposto. Si aspetta il libro di Paulson.

La cronaca dei due giorni che precedettero il fallimento di Lehman è un ritratto di Wall Street. In una sala della Fed di New York si riunirono molti dei protagonisti della finanza, vennero divisi venerdì 12 settembre in tre gruppi di lavoro da Geithner, per valutare attivi e passivi di Lehman. C'erano John Thain di Merrill Lynch, ex Goldman Sachs, che mentre si occupava di Lehman trovò in Bank of America un acquirente per la sua Merrill; c'erano uomini di Goldman, di J P Morgan e di altre banche. Fu in quel contesto che Paulson, Bernanke e Geithner decisero la fine di Lehman.

Poi, tra il 16 quando il dossier Aig entrò nel vivo e il 21 settembre, vi furono 24 telefonate fra Paulson e Lloyd Blankfein, suo successore alla guida di Goldman Sachs. Lo ha rivelato ad agosto un'inchiesta del New York Times. Se Aig non veniva salvata, non avrebbe pagato a Goldman 13 miliardi di assicurazioni. Anche Ubs ne prese 5, e varie altre banche, americane e non. Ma Goldman era la più esposta.

Secondo Simon Johnson, docente all'Mit ed ex capo economista dell'Fmi, il circuito tra Wall Street e Washington, e in particolare tra Goldman Sachs e Washington, è la vera arteria del potere, da 15 anni, in America. «Sono stati molto abili, e si sono insinuati in ogni piega del governo. Ma sono forse perfetti? Accidenti, no», dice degli uomini di Goldman l'anziano John H. Gutfreund, 20 anni fa come capo di Salomon Brothers il banchiere d'affari più potente di Wall Street. Mentre Robert G. Wilmers, rispettato presidente di M&T Bank, uno dei primi 20 istituti commerciali d'America, ricorda come la sua banca dovette aspettare 10 settimane per il via libera all'acquisto di alcune filiali, concesso solo a varie coindizioni. Mentre Goldman e Morgan Stanley ottennero in pochissimi giorni, nel settembre 2008, lo statuto di banche commerciali che apriva loro tutte le protezioni federali dalle quali fino ad allora l'investment banking era escluso.

11 settembre 2009
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