Il rientro agevolato dei capitali nascosti nei paradisi fiscali o in paesi che offrono una fiscalità privilegiata è un'iniziativa promossa da numerosi governi tra le misure adottabili per immettere liquidità nei mercati, dilaniati dalla crisi, e per permettere di irrobustire la patrimonializzazione delle imprese.
Se questo è senz'altro l'obiettivo immediato, le norme che agevolano il rientro dei capitali occultati all'estero si inseriscono nell'ambito della guerra che i Paesi del G-20 e dell'Ocse hanno dichiarato all'evasione fiscale, al riciclaggio di denaro criminale e alla corruzione: lo testimoniano con evidenza gli accordi raggiunti recentemente tra Svizzera, Stati Uniti, Francia e Germania nonché tra Liechtenstein e Gran Bretagna (o, nel nostro piccolo, la probabile futura collaborazione tra Italia e San Marino) e il sempre più progressivo avvicinamento agli standard dell'Ocse da parte dei Paesi black list, con un significativo ridimensionamento del segreto bancario e l'adozione di procedure per un effettivo scambio di informazioni.
Le normative sugli scudi fiscali si prestano dunque a essere valutabili con maggiore approfondimento proprio perché emanate nello stesso periodo storico e con la medesima finalità. Se l'ispirazione di principio di queste norme è evidentemente unitaria, tuttavia confrontando le soluzioni adottate da Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna si riscontrano numerose differenze sostanziali che caratterizzano – sintetizzate nei grafici qui a destra – le diverse strategie con le quali i vari governi hanno affrontato l'emergenza di "sanare" le posizioni estere non dichiarate al fisco.
Tra le diversità più significative che emergono spicca innanzitutto quella relativa alla modalità che devono seguire coloro che intendono aderire alla regolarizzazione: obbligatoriamente nominativa e trasparente per Stati Uniti e Gran Bretagna, anonima invece per l'Italia.
Quanto al costo della procedura per l'adesione, la comparazione è meno facile, perché lo scudo inglese impone di ricostruire la posizione reddituale degli ultimi vent'anni del soggetto che aderisce allo scudo; negli Usa, invece, il costo del condono dipende principalmente dai redditi non dichiarati e non solo dal valore dei beni scudati, come invece accade in Italia. Negli Stati Uniti, infatti, nel caso di attività che non generano redditi, non c'è necessità di regolarizzare: balza però agli occhi che la regolarizzazione dei fondi neri esteri comporta per essi l'applicazione della tassazione ordinaria.
Con riferimento, poi, agli effetti che seguono all'adesione, in Italia e negli Usa lo scudo funziona, oltre che ai fini della prevenzione di eventuali accertamenti fiscali futuri, anche in relazione a eventuali conseguenze penali. Peraltro, negli Stati Uniti – oltre ad escludere dallo scudo, come in Italia, gli accertamenti in corso – è assai rilevante nella procedura di condono l'atteggiamento di buona fede nonché di volontaria e piena collaborazione del contribuente affinché l'Irs (Internal Revenue Service, l'agenzia governativa che sovrintende al prelievo fiscale) possa individuare e tassare i redditi occultati: la procedura infatti prevede che l'Irs o il dipartimento di giustizia intervistino personalmente coloro che richiedono la regolarizzazione.
Per meglio comprendere le peculiarità delle proposte di regolarizzazione è utile comparare anche le sanzioni dettate nei vari paesi in caso di accertamento dell'irregolarità compiuta in assenza di sanatoria: in territorio inglese la sanzione è fino al 100% dell'imposta evasa con la pena accessoria della pubblicazione del nome del contribuente. Oltreoceano scatta anche il carcere (da uno a dieci anni a seconda del crimine) e sanzioni anche di diverse centinaia di migliaia di dollari. In Italia, però, le sanzioni arrivano anche al 240 per cento.
Studio legale Dla Piper