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Draghi alle imprese: «Basilea 3 non bloccherà la ripresa»

dal nostro inviato Rossella Bocciarelli

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7 febbraio 2010

IQALUIT - Non è vero che le regole di Basilea 2 e 3 sui ratios patrimoniali delle banche pregiudicano la ripresa. È il messaggio forte e chiaro che Mario Draghi ha lanciato ieri al mondo bancario da Iqaluit, dov'è stato speaker nella sessione del G-7 dedicata alla «riforma del sistema finanziario, compresa la capitalizzazione». Il numero uno di Bankitalia, che è intervenuto insieme al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, e al ministro del Tesoro Usa, Timothy Geithner, sui temi relativi alla stabilità finanziaria internazionale, ha però tenuto a sottolineare di aver parlato non come presidente del Financial stability board ma in qualità di governatore della Banca d'Italia: dunque le sue parole valgono innanzitutto per le aziende di credito italiane, alle quali peraltro Draghi si rivolgerà in modo specifico tra una settimana in occasione dell'annuale convegno del Forex che si tiene a Napoli. «Ci sono varie cose che si possono osservare a proposito della riforma. La prima - ha spiegato il governatore - è che le nuove regole di modifica di Basilea 2 non impediscono la ripresa. In primo luogo perché le modifiche avverranno con il necessario gradualismo, dal momento che sono previsti congrui periodi di grandfathering». In altri termini, i periodi di tolleranza rispetto all'introduzione della riforma dell'accordo interbancario di Basilea sono - ha detto il governatore - «sufficientemente lunghi perché il mercato non sconti da oggi gli effetti dei cambiamenti introdotti».

La seconda osservazione da fare, secondo Draghi, riguarda la dinamica del credito: «Già oggi il credito o non cresce o addirittura, in alcune parti dell'Eurozona, diminuisce, senza che sia entrata in vigore alcuna riforma di Basilea». In sostanza, quindi, le nuove norme in via di definizione non possono essere invocate come un alibi rispetto a un'erogazione del credito a imprese e famiglie che avviene ancora in modo stentato. «In realtà - ha aggiunto Draghi - le banche oggi, non hanno difficoltà né di raccolta di fondi né, per la maggior parte, di capitale, però preferiscono investire altrove, in impieghi più remunerativi». In questo caso il riferimento è a quegli intermediari che raccolgono a tassi bassi in occidente e poi impiegano le loro risorse in titoli di stato dei paesi emergenti.

Il governatore ha poi spiegato che fra i sette grandi esiste ampio consenso sulla necessità di ridurre al massimo gli effetti di arbitraggio regolamentare; si tratta di quei varchi normativi dei quali si avvantaggiano gli operatori più spregiudicati. Ma «tutti i paesi sono uniti» in questa battaglia, ha osservato il governatore. A chi osservava che tuttavia in questo momento alcuni paesi sembrano muoversi in ordine sparso, Draghi ha replicato: «Occorre distinguere. Esistono alcuni campi per i quali l'obiettivo da raggiungere è l'armonizzazione massima: è il caso, ad esempio, delle normative sul capitale e sulla liquidità degli intermediari». Per altre regole, invece, il discorso è diverso, come nel caso della normativa destinata a scaturire dalla discussione sul too big to fail cioè le aziende rilevanti a livello sistemico per le quali occorre limitare i rischi di azzardo morale. «In questo caso vale la logica dell'armonizzazione minima: si deve cercare di creare un floor, un pavimento comune e poi chi ritiene opportuno essere più esigente lo fa, che è poi quanto già avviene in molti paesi europei». In ogni caso, ha rimarcato il governatore «l'economia è ancora debole. E le banche, che hanno perdite su crediti e vedono aumentare le sofferenze, devono economizzare sul capitale e stare attente sulle politiche dei dividendi».
Infine, a chi chiedeva se sul terreno delle regole il primato debba spettare alla politica o ai tecnici della finanza, il governatore ha risposto lasciando capire che non esiste alcuna contrapposizione fra le due funzioni: «Tutti partecipano all'elaborazione delle regole, politici e tecnici», ha spiegato. «Sulla regolamentazione centralizzata del trading di derivati ad esempio - ha evidenziato Draghi - ci sono anche proposte legislative in vari paesi. Siamo tutti al lavoro su questo fronte». La sintonia sembra dunque completa anche con il messaggio finale lanciato dal ministro del paese ospite del G-7 di Iqaluit, il canadese Jim Flaherty: «Le istituzioni finanziarie devono condividere i costi della crisi».

7 febbraio 2010
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