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Per lo «scudo» il momento è propizio

di Marco Liera

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7 marzo 2009

Stretto in una morsa, il mantenimento clandestino dei patrimoni privati all'estero sta diventando sempre meno confortevole. Da una parte c'è la grave crisi economica che sta costringendo più di un imprenditore a prelevare dai conti all'estero per far fronte alle difficoltà di accesso al credito bancario. Come riportato da «Plus24» del 14 febbraio, sono in aumento – in particolare in Veneto – i casi di intercettazione di trasporto illegale di contanti da parte della Guardia di Finanza. Dall'altra c'è l'offensiva di vari Stati contro i paradisi fiscali più o meno dichiarati.
Con la vicenda Ubs, le autorità Usa hanno aperto una nuova breccia nel segreto bancario svizzero grazie al potere di inibire l'attività di qualsiasi intermediario sul mercato finanziario più importante del mondo. La Confederazione tiene duro, ma non è chiaro se riuscirà a difendere la sua granitica differenziazione tra frodi (sulle quali è disposta a collaborare) ed evasione fiscale.

Più in generale c'è la determinazione di Governi e organi di vigilanza ad avere un controllo più stretto sulle transazioni con i Paesi offshore, considerati a rischio riciclaggio e base per possibili attività destabilizzanti: come dimostra l'ultimo provvedimento di Bankitalia su San Marino (le cui banche sono ora considerate extra-Ue); e come testimonia la volontà del ministro delle Finanze francese Christine Lagarde e del collega tedesco Peer Steinbrueck di chiedere al prossimo G-20 di imporre alle banche e alle assicurazioni di dettagliare nei bilanci le attività che mantengono nei paradisi regolamentari. Gli stessi clienti sono irritati per il ruolo che hanno avuto molti degli intermediari ivi residenti nel diffondere operazioni truffaldine su larga scala come il "Ponzi scheme" di Bernie Madoff. D'altra parte la convenienza a mantenere clandestinamente una parte delle proprie ricchezze all'estero è dovuta tipicamente a cinque condizioni: equando il carico fiscale è assai inferiore rispetto a quello che si ha sul patrimonio residente in patria; rquando i costi di gestione dei patrimoni non sono eccessivi: tquando il segreto bancario garantito dal Paese estero è a prova di bomba; uquando non c'è una necessità personale o imprenditoriale di far rientrare i patrimoni; iquando c'è una eventuale esigenza di proteggere una parte della propria ricchezza da creditori vari (come gli ex coniugi).

Le prime quattro condizioni vengono sempre meno rispettate: l'euroritenuta (per altro facilmente aggirabile) che grava sul rendimento degli attivi monetari e obbligazionari riferibili a cittadini Ue detenuti su conti cifrati di Svizzera e altri Paesi ha un'aliquota che attualmente è del 20% ma salirà al 35% nel 2011 (contro il 12,5% italiano). E con la Confederazione è in vista una rinegoziazione. I servizi di gestione sono immotivatamente cari: le banche estere sanno benissimo che i loro clienti non residenti ben difficilmente protesteranno sulle alte commissioni. Quanto ai varchi nel segreto bancario, oltre al recente caso di Ubs si ricorderà che i servizi tedeschi si impadronirono tre anni fa dell'elenco clienti di una banca del Liechtenstein con la complicità di un funzionario infedele. La situazione così descritta è un'occasione propizia per l'apertura di una nuova stagione di scudi fiscali, analoga a quella del 2001-2003, che per l'Italia comportò il rimpatrio o la regolarizzazione di 78 miliardi di €. Certo, si tratterebbe di un condono a favore di benestanti che per anni hanno evaso le tasse. Ma, se l'ideologia dovesse far spazio a un sano pragmatismo, sarebbe una misura che garantirebbe un futuro gettito; e, oltre a beneficiare l'intera economia, andrebbe a premiare le banche italiane, che nello tsunami si stanno dimostrando assai più solide di certe concorrenti svizzere o austriache.

7 marzo 2009
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