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L'Etf vince in efficienza, ma ora l'Eonia scenderà

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29 NOVEMBRE 2008


Non solo BoT e conti online. Fra gli strumenti per la gestione della liquidità emergono altri strumenti ormai popolari fra gli investitori. L'Etf in primo luogo: i due prodotti che replicano l'indice monetario EuroMts Eonia quotati sul listino milanese sono i più scambiati per controvalore nei primi 10 mesi del 2008 e con gli oltre 7,5 miliardi di euro passati di mano fanno il 18,6% dell'intero mercato.
Certo, gran parte dei movimenti è dovuta a soggetti istituzionali, ma il fatto che anche il numero dei contratti sia elevato (li superano soltanto gli Etf che investono su Paesi
emergenti come India, Cina o Brasile) dimostra che anche i risparmiatori hanno imparato ad apprezzarli.
Una fiducia che sembra meritata, se si guardano le performance dell'ultimo anno: anche in questo caso l'Etf cash è in testa alla classifica degli strumenti di liquidità con un rendimento del 3,5% al netto di tasse (12,5%) e commissioni di gestione (0,15%). Altri punti di forza sono la possibilità di venderlo e acquistarlo quotidianamente (come un'azione) e quindi di avere la piena disponibilità del denaro impiegato.
Sotto l'aspetto delle garanzie, vale la pena inoltre di ricordare che gli Etf sono trattati come un qualsiasi fondo comune: il patrimonio è quindi separato rispetto a quello della Sgr. Difetti? A prima vista uno solo: le performance degli ultimi 12 mesi saranno difficilmente ripetibili. L'indice Eonia segue infatti da vicino (anzi, il più delle volte anticipa) il livello del costo del denaro della Bce ed è quindi sceso con le recenti mosse di Francoforte. Al momento vale il 2,9% (2,41% al netto di tasse e commissioni), ma c'è da mettere in conto un'ulteriore riduzione in caso di nuovi tagli Bce.
Alla famiglia dei «cloni» appartengono pure i certificate, quello che replica l'Eonia ha offerto negli ultimi 12 mesi un rendimento netto del 3,4% e segue da vicino in classifica. Dalla sua ha molti vantaggi degli Etf, la trasparenza, le commissioni ridotte ed è trattato su un mercato regolamentato come il SeDeX di Piazza Affari. Ma anche un potenziale tallone d'Achille: i certificati di investimento sono soggetti al rischio emittente come se fossero normali obbligazioni. Un fattore che di questi tempi non passa inosservato al risparmiatore in cerca di tranquillità. Altrimenti non si spiegherebbe il revival dei certificati di deposito bancari, prodotti poco efficienti (a partire dalla tassazione al 27%) ma prontamente rispolverati dagli istituti per andare incontro alla fame di sicurezza dei clienti soltanto perché rientrano nella tutela (fino a 103mila euro) del Fondo interbancario.

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