Corse è la volta buona: magari anche i risparmiatori quando compreranno un'obbligazione strutturata o una polizza unit linked finalmente sapranno cosa stanno per acquistare. La normativa sui prodotti illiquidi, illustrata nel documento di consultazione elaborato dalla Consob, si pone proprio questo obiettivo: elevare gli standard di trasparenza e mettere gli investitori, soprattutto quelli meno esperti, nelle condizioni di valutare le caratteristiche del prodotto offerto dall'intermediario, i costi effettivi, il valore corretto, la possibilità di rivenderlo e a che
condizioni, la sua composizione e il grado di rischio a esso collegato. Non solo. La possibilità di confrontarlo con altri prodotti simili e magari meno onerosi.
Un po' come succede in farmacia quando propongono come alternativa il farmaco generico. In sostanza una normativa che renderà il risparmiatore più consapevole delle proprie scelte ma che fa già molto discutere. Chiaramente non tutti sono d'accordo. Alle ovvie voci di plauso da parte di Assogestioni (che vede in questo documento la possibilità di mettere sullo stesso piano tutti i prodotti finanziari e quindi di arrestare i deflussi dai fondi), dell'Anasf (promotori finanziari) e dell'Aiaf (analisti), si contrappongono quelle critiche di Abi (banche), Ania (assicurazioni) e Assonime (società per azioni) che invece
contestano l'eccessiva onerosità e genericità del provvedimento, nonché un disallineamento con le regole in vigore negli altri Paesi europei.
Insomma, il dibattito è aperto e andrà avanti per diverso tempo. Al momento, però, il dissenso non ha fermato Lamberto Cardia, presidente Consob, che in occasione della consueta relazione annuale (si è tenuta a Milano lunedì scorso) ha ribadito la posizione dell'authority, sottolineando la necessità di «una particolare diligenza nel proporre investimenti in prodotti per i quali non sono disponibili mercati di scambio caratterizzati da adeguati livelli di liquidità e di trasparenza. In tali casi divengono ancora più importanti le valutazioni di appropriatezza e adeguatezza e la completa informazione al cliente». Informazione che in troppi casi non c'è. Soprattutto per i clienti delle banche ai quali da un po' di tempo vengono proposti prodotti complessi come i bond strutturati che però permettono agli istituti di credito di realizzare raccolta diretta a costi più convenienti rispetto all'approvigionamento sull'interbancario. Ma l'Abi non ci sta. Secondo un documento elaborato dall'associazione bancaria, da parte di Consob non c'è stata una sufficiente pre-consultazione con gli operatori. Con queste misure il rischio è fornire al cliente troppe informazioni, poco comprensibili e costose, oltreché di minare la concorrenza all'estero degli intermediari italiani. Per garantire la correttezza dei prezzi, il suggerimento è una diffusa quotazione degli strumenti in questione. Critiche anche dall'Ania. «La Consob – sostiene Roberto Manzato, direttore Danni non auto, Vita e prevenzione dell'Ania – ha definito genericamente illiquide solo alcune categorie di prodotti e non credo che questo approccio aprioristico sia corretto. Bisognerebbe adottare dei criteri precisi. Per esempio tra i prodotti finanziari assicurativi ce ne sono assolutamente liquidi come le polizze unit linked. Mentre ci sono degli strumenti o prodotti che non vengono definiti illiquidi ma che certo liquidi non sono». A questa categoria potrebbero appartenere i fondi riservati, quelli chiusi e gli immobiliari. In effetti nel documento di consultazione, l'authority afferma che «a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, si farà espresso riferimento alle obbligazioni bancarie, alle polizze assicurative e ai dirivati negoziato over the counter che per determinate ragioni si connotano come prodotti con specifico "rischio di liquidità"...». Manzato è anche critico sull'utilizzo della liquidità come unica caratteristica esplicitamente menzionata per la valutazione di un prodotto e sulla sensazione che il documento lascia di preferenza da parte del regolatore di una struttura di pricing rispetto ad altre.
Tutte le motivazioni sono lecite, ma di certezza ce n'è una: se il risparmiatore vuole capire quanto rende il suo bond e quanto deve pagare alla sua banca, l'attuale livello di informativa non lo aiuta un granchè.