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Il segreto bancario? Proteggerà meno

di Paolo Zucca

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7 marzo 2009

Matura la voglia di regolamentazioni forti sulle attività di finanza. E anche parte del segreto bancario (non la doverosa riservatezza di banca quanto la disponibilità alla collaborazione fra amministrazioni di Paesi diversi sui conti di non residenti) viene messo in discussione. Soprattutto quando l'anonimato copre cifre rilevanti e il sospetto di evasione fiscale è forte. Il velo bancario è stato invece tolto, con il via libera di tutti i Paesi evoluti, in caso di illeciti penali. L'ostruzionismo rimane quando bisogna definire esattamente cosa è reato.

Per chi non ha grandi patrimoni il problema non esiste. E probabilmente c'è simpatia per la caduta delle barriere protettive. Sarà uno dei temi toccati dal G-20 il 2 aprile a Londra. Ne possono derivare riflessi sui flussi di denaro, immobiliari, valutari che toccano il risparmiatore-investitore. Molti Paesi vivono di finanza. Alcuni sono al nostro confine come il Principato di Monaco, la Svizzera, l'Austria. O la piccolissima Repubblica di San Marino che è parte dello Stivale. Altri sono facilmente raggiungibili in poche ore.

Mai come in questo momento i conti dei non residenti sono oggetto di attenzione. Quei soldi depositati e legittimamente posseduti dai proprietari fanno gola per recuperare flussi, perchè possano essere investiti nelle imprese o perchè rientrino come oggetto di imposizione fiscale. Non ci sarà da stupirsi se emergeranno proposte di nuovi "scudi fiscali". «C'è un po' di confusione – spiega Guglielmo Maisto, professore di diritto tributario presso l'Università Cattolica, socio fondatore di Maisto e Associati – fra paradisi fiscali, dove i regimi tributari favorevoli puntano ad attirare imprese, e i paradisi finanziari, che per richiamare le imprese puntano su norme che non garantiscono la trasparenza societaria, su minori controlli, e su un più marcato anonimato. Nel prossimo G-20 è prevedibile una più accentuata pressione verso Paesi che utilizzano normative e prassi ritenute non collaborative. Forse prima di affrontare il caso svizzero in sede di G-20, l'Unione Europea dovrà ripensare alla posizione dei tre Stati comunitari (Belgio, Lussemburgo e Austria) che hanno ottenuto di derogare al principio dello scambio di informazioni affermato come regola generale dalla Direttiva sul risparmio del 2003. Anche in sede Gafi (lotta al riciclaggio) l'asticella dovrà essere alzata se è vero che tanti Paesi sono riusciti a rientrare fra quelli virtuosi». Il duro contenzioso fra gli Usa e Ubs (vedi in pagina) segnala che l'aria è cambiata. C'è una proposta della Commissione Ue per combattere l'evasione fiscale: in sostanza, uno Stato non potrebbe più rifiutare informazioni sui non residenti se queste sono a disposizione di una banca o di un'altra istituzione finanziaria. Ora dovranno dire la loro Consiglio e Parlamento europeo. L'argomento è delicato, con rischi di scelte controproducenti. «Per i paradisi fiscali – aggiunge Maisto –, nell'immediato futuro prevedo che si possa sviluppare una competizione fra gli Stati per attrarre aziende che abbiano una reale operatività. L'Italia, al pari di tutti gli Stati aventi economie avanzate, dispone da tempo di norme volte a contrastare l'utilizzo indebito dei paradisi fiscali. Però, in linea con la tendenza dell'Ocse, non demonizza i paradisi fiscali. Una demonizzazione indiscriminata renderebbe meno competitive le imprese italiane rispetto a quelle di altri Stati industrializzati che adottano un approccio meno repressivo».

I Paesi sotto pressione stanno reagendo e si faranno vivi in tutti gli appuntamenti internazionali, cercando una difesa comune ed evitando che un concorrente vicino o lontano ne tragga vantaggio. Per Lussemburgo, Austria e tanti altri il segreto bancario regge parte delle economie.

7 marzo 2009
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