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Perché Draghi crede nel ruolo dei consulenti

di Marco Liera

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26 luglio 2008

I promotori finanziari l'hanno presa male. Di loro, e del lavoro svolto in questi anni presso i risparmiatori, non si parla nel Rapporto del gruppo di lavoro sui fondi comuni costituito presso la Banca d'Italia. Il Rapporto, che rilancia anche gli inviti formulati sull'argomento dal governatore Mario Draghi, ripone però molta fiducia sui consulenti finanziari
indipendenti. Sono loro il grimaldello con il quale far saltare il blocco della distribuzione in conflitto di interessi, tramite la raccolta ordini per conto dei clienti su fondi low-cost trattati su piattaforme telematiche. Anche se la loro attività, almeno all'inizio, «si rivolgerà a un pubblico ristretto».
Il Rapporto pare ignorare che c'è un quarto del mercato dei fondi, quello intermediato dai promotori, che non è stato colpito dai disastrosi deflussi che hanno invece caratterizzato i network di sportelli. La circostanza meritava qualche approfondimento in più. D'altra parte non pare il caso che i promotori debbano temere i consulenti indipendenti. Le due forme possono felicemente convivere nell'interesse dei risparmiatori, come accade altrove. Sarebbe strano se, dopo 30 anni in cui hanno potuto operare in assenza dei consulenti fee-only, i promotori si preoccupassero del loro fisiologico ingresso. A meno che qualcuno di loro non rimpianga che in questo periodo non trascurabile si potesse fare di più. Si poteva ad esempio conquistare una quota di mercato del risparmio – in presenza di servizi bancari di scarsa qualità – assai più alta di quel 6% che è attribuito oggi alle reti di promotori. Le quali sono in gran parte di proprietà bancaria o assicurativa. L'imprenditorialità è stata poca, con soli due casi di successo (Azimut e Mediolanum). Ciò è stato dovuto a un insieme di condizioni oggettive di mercato, ma ha frenato l'affermazione di questa categoria di professionisti. Nei cuori dei risparmiatori e in quelli degli autori del Rapporto.

MARCO.LIERA@ILSOLE24ORE.COM

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