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Fondi Comuni / 1 Azionari, performance «doppiate» da quelle degli stranieri

di Marzia Redaelli

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26 LUGLIO 2008


Performance deludenti. Dopo tanto discutere sui nodi del sistema italiano dei fondi la lente dell'indagine si focalizza sui rendimenti. E ciò che si vede non è appagante.
Quali che siano i problemi alla radice del risparmio gestito tricolore (il conflitto di
interessi tra produzione e distribuzione che deprime la qualità della gestione, il legame stringente con il benchmark o il fardello dell'imposta maturata non investibile), i risultati scritti nero su bianco parlano chiaro: i prodotti esteri riescono a produrre più ricchezza.
Lo si intuisce da un semplice confronto della variazione a cinque anni di due categorie ampie come quella degli azionari e degli obbligazionari globali, secondo la classificazione di Lipper. È vero che ogni singolo prodotto ha proprie specificità, e un profilo di rischio/rendimento variamente graduato, ma la classifica mostra distacchi considerevoli tra i fondi di bandiera e quelli domiciliati oltre confine. Il miglior fondo azionario italiano è Mc Megatrend Wide, un
fondo di fondi (che ha in pancia solo prodotti esteri), che ha reso il 50% dal luglio 2003, più o meno quando i mercati hanno cominciato la fase ascendente (8,4% annualizzato). Il secondo miglior fondo di diritto italiano è Groupama Equity Selection Fund, cresciuto però del 22,3% (4,1% annualizzato). In media, il rendimento annualizzato è pari all'1,65%, a fronte del 2,26% netto di un BTp quinquennale emesso cinque anni fa.
Il miglior fondo azionario estero, Carmignac Investissement, ha guadagnato invece il 99% (14,8% annualizzato) e la media delle categorie è del 17,7% (3,3% annualizzato). Bisogna però tener presente che la maggiore numerosità dei fondi stranieri li favorisce nel raffronto. «È improprio valutare i fondi italiani contro un universo formato da tutti i fondi
mondiali, è un po' come far giocare la nazionale contro una squadra dei migliori giocatori a livello di club», osserva Raimondo Marcialis, direttore generale di Mc Gestioni. Marcialis spiega che il portafoglio di Megatrend Wide contiene solo fondi esteri perché sono numerosi quelli pensati per investitori istituzionali e che la selezione non individua i più performanti ma quelli adatti a costruire un portafoglio robusto. E poi precisa: «Il vizio italiano è a livello di industria: oltre al cuneo del credito di imposta, la gestione è più passiva perché il mercato si apre grazie al canale distributivo, e non alla qualità». Ma osservazioni sulla bontà dei nostri gestori arrivano anche da analisi approfondite.
L'annuale studio di Mediobanca diffuso nei giorni scorsi conclude che i rendimenti di lungo
periodo rimangono insoddisfacenti, anche se positivi negli ultimi cinque anni, e che la ricchezza creata è irrisoria rispetto ai volumi gestiti. In ogni caso, inferiore a quella dei gestori stranieri. E gli stessi vertici dell'industria fanno autocritica. Marcello Messori, presidente di Assogestioni, difende il lavoro dei money manager domestici, ma non si nasconde dietro un dito. L'associazione delle Sgr ha confermato che le performance sono insoddisfacenti (sotto l'indice Mts BoT nell'ultimo quinquennio, a differenza di quelli esteri), ma sopra tale soglia al netto dei costi di distribuzione.
«La vera linea spartiacque è tra fondi captive e fondi indipendenti, non tra italiani ed esteri - puntualizza Massimo Greco, responsabile per l'Italia di Jp Morgan A.M., società estera che ha raccolto di più in Italia fino a metà dello scorso anno -. In Italia i concetti spesso si confondono perché le banche collocano i fondi di casa e, nella maggior parte dei casi, il fondo estero è l'indipendente che beneficia della selezione darwiniana: se non va bene non si compra. Non si può generalizzare ma a guardare i grandi numeri il ragionamento tiene». La competizione, secondo Greco, va cercata piuttosto con gli strumenti illiquidi, come già evidenziato dalla Consob, e non tra fondi di diverso domicilio, a causa della disparità di obblighi tra fondi e strumenti strutturati molto meno trasparenti. E aggiunge: «Messori ha ragione a contestare il metodo di calcolo di Mediobanca, che considera in parte le movimentazioni dei risparmiatori, ma è vero che i canali distributivi
non fanno sempre un buon lavoro; il tipico cliente dei promotori ha risultati migliori di quello delle banche, grazie a una consulenza più appropriata».
Anasf (promotori finanziari) e Assoreti (intermediari) non hanno infatti tardato a contestare la mancanza di distinguo tra collocamento allo sportello e tramite reti di vendita in un altro rapporto appena diffuso, quello di Bankitalia. «Il tavolo di lavoro coordinato da Bankitalia – ricorda Elio Conti Nibali, presidente Anasf – non si è chiesto perché la diversificazione dei fondi dei clienti dei promotori è del tutto simile alla media europea. È la qualità della relazione, che significa conoscenza del cliente, orizzonte temporale, analisi e pianificazione, che porta i promotori finanziari a non seguire il mercato, abbandonando i fondi in presenza di prodotti più remunerativi».

MARZIA.REDAELLI@ILSOLE24ORE.COM

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