C'è stato un tempo in cui si credeva che i fondi pensione fossero strumenti destinati a essere consapevolmente scelti dai lavoratori, grazie a campagne informative nazionali, e non dovessero essere "spinti" dagli intermediari finanziari. Dei prodotti, insomma, guidati dalla domanda e non dall'offerta. Ciò ha funzionato in qualche collettività di lavoratori (i chimici, i dipendenti di certe multinazionali e di alcune grandi aziende). Per il resto l'illusione è svanita, come dimostrano i dati sulla scarsa affluenza ai fondi negoziali nei primi sei mesi del 2008, a un anno dalla scadenza del semestre del silenzio-assenso che doveva indurre i dipendenti del settore privato a far confluire il loro Tfr futuro ai fondi pensione.
Dal punto di vista comportamentale, i fondi pensione si rivelano quindi simili ad altri strumenti finanziari come i fondi comuni e le polizze Vita: è soprattutto quando sono proposti da venditori remunerati a provvigione che hanno qualche probabilità di essere sottoscritti; come testimonia il flusso di adesioni in aumento verso i piani previdenziali collocati dalle reti di agenti, promotori e banche, i Pip e i fondi pensione aperti. Era un po' difficile immaginare che una campagna informativa durata qualche mese colmasse decenni di incuria verso l'educazione finanziaria, e portasse milioni di lavoratori ad aderire convinti ai fondi pensione negoziali. L'azione dei venditori/consulenti invece può sopperire all'atavico disinteresse delle famiglie italiane verso le proprie finanze; non solo per via delle ore spese nell'illustrazione individuale della necessità di integrare la pensione di domani, ma anche per la presenza di un interlocutore con cui confrontarsi negli immancabili ribassi dei mercati in cui sono investiti i risparmi previdenziali. Ciò comporta sostenere costi elevati e accettare un'assistenza in conflitto d'interesse, ma per il lavoratore medio è più efficace.
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