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FINANZA

Bond a rischio, difesa in cinque mosse

di Maximilian Cellino

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1 NOVEMBRE 2008

«Quanto è rischioso il mio bond?» Il dubbio assilla molti risparmiatori, impauriti dalla tempesta finanziaria. Dal fallimento di Lehman Brothers in poi, gran parte delle certezze sono state infatti spazzate via e i titoli obbligazionari, un tempo percepiti come investimenti sufficientemente sicuri, si sono improvvisamente trasformati in mine vaganti nei portafogli del piccolo investitore.
Valutare il grado di rischio del titolo che si detiene o si sta per acquistare è purtroppo un'impresa ardua per i risparmiatori. Ciò non toglie, però, che qualche accorgimento può essere utile a fare un po' di luce e magari a evitare dolorose scottature.

Le spie? Titoli di Stato e Cds
Dare un'occhiata al rendimento a scadenza del titolo e confrontarlo con quanto offre un titolo di Stato con durata residua simile è il primo consiglio: «Se i valori sono sostanzialmente in linea – spiega Ida Pagnottella, consulente finanziario indipendente di Cfi Advisors di Pescara – il mercato percepisce il bond che si ha in portafoglio come un investimento sufficientemente sicuro. Se invece il rendimento è molto più elevato, il 50% in più o magari anche il doppio, è lecito porsi qualche dubbio e cercare di capire qualcosa di più».
Occorre indagare dunque, ma come? Fino a qualche mese fa si controllava il rating, quella sorta di marchio (da tripla A a scendere) che le principali agenzie (Fitch, Moody's e S&P) affibbiano all'emittente per indicarne il grado di affidabilità. Gli eventi recenti hanno però inferto un duro colpo all'attendibilità di questi giudizi (si veda l'intervista nella pagina a fianco) e gli investitori sono corsi ai ripari cercando nuovi indicatori.
E sotto questo aspetto grande importanza hanno guadagnato i credit default swap (Cds), quei contratti che si utilizzano per assicurarsi contro il rischio di fallimento di un emittente obbligazionario. Il loro valore (in punti base) rappresenta in percentuale il costo annuo necessario a coprirsi da un'eventuale insolvenza del prestatore e viene ormai comunemente utilizzato come indice di rischio. «È opportuno aggiunge Pagnottella informarsi su come si sta evolvendo questo tasso: se è in crescita, significa che anche il mercato percepisce in aumento i rischi di fallimento dell'emittente».

Senior e subordinati

Vale poi la pena ricordare che le obbligazioni non sono tutte uguali, ma si differenziano (oltre che per tipologia di tasso, durata e valuta) anche per grado di subordinazione. Negli ultimi tempi presso la clientela retail è stata collocata anche una discreta quantità di prodotti denominati lower tier 2 o upper tier 2: titoli subordinati che, in caso di insolvenza, vengono rimborsati dopo i bond senior (non subordinati). Il rischio che si corre detenendo questo tipo di strumenti è dunque maggiore (come superiore, in teoria, dovrebbe essere il rendimento).
Per capire se un titolo è di tipo subordinato è sufficiente dare un'occhiata al prospetto informativo. Prospetto al quale andrebbe destinata particolare attenzione soprattutto quando si ha in portafoglio un'obbligazione strutturata. Spesso il funzionamento di questi strumenti, che aggiungono una componente derivata a quella obbligazionaria, è estremamente complesso e difficile da comprendere perfino per gli addetti ai lavori.

La trappola della (il)liquidità
Infine, una caratteristica troppo spesso sottovalutata dal risparmiatore è il fatto che un'obbligazione sia o meno quotata su un mercato regolamentato (Mot, Tlx o simili). Vendere prima della scadenza un titolo non trattato potrebbe infatti risultare particolarmente penalizzante (o addirittura rivelarsi impresa impossibile) e questo vale anche per gli strumenti quotati su piattaforme interne alle banche, dove la liquidità è scarsa e sono gli stessi istituti di credito (quelli che vi hanno venduto il bond) a decidere il prezzo di riacquisto.

m.cellino@ilsole24ore.com

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